diocesi di alife-caiazzo – Memoria e Futuro https://www.memoriafuturo.it il tempo è superiore allo spazio Mon, 09 Jan 2023 21:43:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.3.17 172263171 Diocesi dell’Alto Casertano. Quale futuro? / 2 https://www.memoriafuturo.it/2023/01/09/diocesi-dellalto-casertano-quale-futuro-2/ https://www.memoriafuturo.it/2023/01/09/diocesi-dellalto-casertano-quale-futuro-2/#respond Mon, 09 Jan 2023 21:37:12 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=898 Quando nel 2010 sono arrivato nella Diocesi di Alife-Caiazzo (frutto della fusione di due precedenti Circoscrizioni, avvenuta nel 1986), ho notato il prevalere di Alife (in alcuni preti alquanto spocchioso) e l’atteggiamento mortificato di Caiazzo, che mi apparve una realtà meno vivace e poco attiva nel consesso diocesano.
Con la Visita pastorale alle Comunità dell’ex Diocesi di Caiazzo e la preparazione del “Dizionario dei testimoni della fede” (di prossima pubblicazione), ho invece scoperto che l’antica Chiesa caiatina era una realtà di belle tradizioni, con significative esperienze pastorali e che ha avuto ottimi vescovi, certamente non inferiori a quelli di Alife. Come pure che la situazione che inizialmente avevo colto dipendeva dal fatto che Caiazzo aveva vissuto la fusione con Alife con rassegnata passività, forse sognando un improbabile futuro ritorno all’autonomia.

Pertanto, quando il 23 maggio 2013, il Papa ha di fatto “decretato” anche la fine della Diocesi di Alife-Caiazzo, ho impostato la vita pastorale pure in funzione di quella concreta eventualità, facendo alcune importanti scelte che permettessero alla nostra realtà diocesana di entrare a testa alta in un eventuale consesso più ampio:
1. per suscitare il senso di appartenenza alla Chiesa locale, ho avviato innanzitutto una lunga Visita pastorale, rimanendo una settimana in ogni parrocchia e incontrando tutte le realtà del territorio (Dedicare tempo a ciascuna di loro significava dare valore a quanti incontravo, ognuno con un bagaglio di idee e di esperienze importante e necessario alla crescita collettiva, compresa la mia);
2. ho poi cercato di rinnovare la pastorale alquanto stantia delle parrocchie (anche laddove alcuni parroci che si ritenevano “all’avanguardia” la camuffavano con iniziative “teatrali” o d’occasione) cercando di spostare il baricentro pastorale dalla sacramentalizzazione selvaggia (fatta di “Messe, Morti e Sacramenti”) all’evangelizzazione (Centri d’ascolto del Vangelo nelle case, nuove norme per l’iniziazione cristiana: Catecumenato crismale, coinvolgimento sistematico dei genitori in occasione dei Sacramenti dei figli..), formazione dei catechisti e degli operatori pastorali, compresi gli Insegnanti di religione….;
3. ho incrementato il rapporto con il territorio e il servizio alla sua promozione, dando una impostazione più aperta ai servizi diocesani quali Clarus (giornale periodico e quotidiano online), Biblioteca diocesana e Caritas, e avviando l’Archivio storico diocesano e il Centro per la famiglia…, spingendo ciascuno di essi ad interagire in maniera specifica con Enti, Associazioni, Istituzioni, Parrocchie;
4. ho rilanciato e avviato (ove erano assenti) gli organismi di partecipazione e il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei laici nella vita della Diocesi, suscitando concreto ascolto e condivisione di idee e progetti;
5. ho provveduto a ristrutturare la Curia, con la presenza significativa dei laici che si sono rivelati più affidabili di alcuni sacerdoti (che non sempre prendono sul serio gli incarichi diocesani, interpretandoli spesso soltanto come funzioni di puro potere) e costituendo èqujpes allargate di lavoro;
6. infine, ho indetto il primo Sinodo Diocesano, che ha dato alla Diocesi una “Regula Pastoralis” (LIBRO DEL SINODO) per aiutare a superare l’individualismo e la pastorale a ruota libera di molti parroci, ma soprattutto per offrire all’intera Comunità diocesana uno strumento per vivere la comunione, sulla scorta di precedenti occasioni di confronto.

Anche se non tutti i Sacerdoti hanno compreso il senso di tali importanti scelte e taluni vivono ancora di miti del passato o inseguendo prospettive pastorali individualistiche e vaghe, ritengo che la Diocesi di Alife-Caiazzo possa entrare nella nuova realtà voluta dal Santo Padre, recando doni nuovi e doni antichi.

+ don Valentino

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Diocesi dell’Alto Casertano. Quale futuro?

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Diocesi dell’Alto Casertano. Quale futuro? https://www.memoriafuturo.it/2022/12/19/diocesi-dellalto-casertano-quale-futuro/ https://www.memoriafuturo.it/2022/12/19/diocesi-dellalto-casertano-quale-futuro/#respond Mon, 19 Dec 2022 20:25:52 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=888 Il 23 maggio 2013 il nuovo Papa, Francesco, parlando per la prima volta ai Vescovi italiani nella Basilica Vaticana, a conclusione dell’annuale Assemblea CEI (Conferenza Episcopale Italiana) presentò come urgente il problema della riduzione del numero delle diocesi in Italia. All’uscita dalla Basilica, trovandomi accanto al Papa e al presidente della CEI, da qualche loro battuta capii che tale proposta non era un’idea del Sommo Pontefice, ma un vecchio progetto della CEI che aveva già avviato contatti con le Congregazioni romane. Tornando da Roma, ne parlai subito con il Clero diocesano, invitandolo a formulare proposte per evitare di trovarci davanti a soluzioni non gradite o penalizzanti (già sperimentate da Alife e Caiazzo in occasione delle infelici Amministrazioni Apostoliche rispettivamente di Caserta e di Capua). Tutti suggerirono di chiedere a Roma di unire la nostra diocesi a quella di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti.

Don Cesare Tescione fu incaricato di scrivere una lettera che, firmata da me e da tutti i Sacerdoti, fu inviata alla Congregazione dei Vescovi. Ma, qualche tempo dopo, giunsero voci che a Cerreto non gradivano la proposta che, secondo alcuni preti del posto, andava contro l’antico legame di quel territorio con Benevento. In una successiva riunione del Clero, prendendo atto dell’orientamento emerso a Cerreto, sollecitai i Sacerdoti a ipotizzare nuove soluzioni, ma nessuna di quelle proposte trovò un consenso unanime. Si decise pertanto di soprassedere.

Frattanto, anche alla Conferenza Episcopale Campana (CEC) giunse l’invito ad affrontare la questione e a ipotizzare modifiche dell’attuale situazione delle Diocesi. A tale scopo, fu nominata una piccola Commissione (composta dai Vescovi Di Cerbo, Cascio e De Luca), ma di fronte alla mia idea di proporre scenari concreti per evitare che fossero prese decisioni da chi non conosceva il territorio e la situazione delle nostre Chiese locali, prevalse la “linea del Piave”, cioè quella di non modificare l’assetto presente. Tale sostanziale rifiuto della riduzione delle diocesi campane fu comunicata a Roma, con molte importanti motivazioni. Nell’Assemblea CEC del 10 ottobre 2016, in riscontro ad una richiesta della Nunziatura che invitava nuovamente i vescovi campani a collaborare alla soluzione del problema della riduzione del numero delle diocesi, fu affrontato nuovamente l’argomento (introdotto da me) e subito dopo fu inviata a Roma una lettera con una serie di quesiti e di raccomandazioni (della mia relazione e della lettera inviata, conservo ancora copia). Niente di più.

Frattanto, in seguito alla pubblicazione del Motu proprio “Mitis Iudex” del 2015, i vescovi di Alife, Teano e Sessa, incontrandosi più volte per costituire il Tribunale Interdiocesano, maturarono l’idea di instaurare forme di collaborazione più strette tra le tre Circoscrizioni ecclesiastiche del nord della Provincia di Caserta. Di fatto, furono incrementati i ritiri interdiocesani del Clero (una iniziativa già realizzata in passato) e si cominciò a pensare al coordinamento degli Istituti diocesani per il Sostentamento del Clero, caldeggiato dall’Istituto Centrale. Al riguardo, qualche anno dopo fu realizzata anche una prima riunione, ma successivamente tale progetto fu bloccato da Mons. Piazza. L’idea di avviare una più organica collaborazione tra le diocesi di Alife, Teano e Sessa, si consolidò in occasione della Fondazione dell’ISSR ”SS. Pietro e Paolo”/Area Casertana, gestita dalle diocesi più grandi della Provincia, con la quasi totale esclusione delle diocesi più piccole.

Nel 2017 a Mons. Aiello, nominato Vescovo di Avellino, a Teano-Calvi subentrò Mons. Giacomo Cirulli, che mostrò subito interesse al progetto di collaborazione organica (anche in vista di un eventuale accorpamento) tra le tre Diocesi dell’Alto Casertano e a portarlo avanti. Di tale prospettiva i tre Vescovi ne parlarono con il Nunzio Apostolico durante l’Assemblea della CEI del maggio 2018.
Era la prima proposta concreta che il Nunzio riceveva dai Vescovi della Campania in risposta alle sollecitazioni di collaborazione con gli intenti del Santo Padre. Da parte mia, si sosteneva la nomina di un nuovo vescovo di Alife-Caiazzo con la prospettiva di preparare il futuro, mentre Mons. Piazza sosteneva non meglio specificate nuove ipotesi ecclesiologiche che suscitarono l’interesse del Nunzio.

Nel 2019, con la cessazione dall’incarico per raggiunti limiti di età del Vescovo di Alife-Caiazzo, l’avvio della realizzazione del progetto fu affidata a Mons. Piazza, vescovo di Sessa, con la nomina ad Amministratore Apostolico della Diocesi di Alife-Caiazzo. A tale scelta contribuirono probabilmente le esibite competenze ecclesiologiche del Vescovo e le pressioni – poco chiare – di alcuni personaggi alifani sulla Nunziatura.

Ma ben presto (forse anche a causa della pandemia) la scelta rivelò i suoi gravi limiti fino al punto che lo stesso Amministratore Apostolico proponeva un nuovo vescovo per Alife-Caiazzo, sottraendosi di fatto all’impresa. Come seconda scelta, in vista della realizzazione del progetto della creazione della Diocesi dell’Alto Casertano, a febbraio del 2021, giunse la nomina di Mons. Cirulli a vescovo anche di Alife-Caiazzo. Con il recente trasferimento di Mons. Piazza a Viterbo – a 69 anni-, per la prima volta si sono create le condizioni di una iniziale forma di unione delle tre diocesi, sposata dalla Santa Sede e confermata personalmente da Papa Francesco a chi proponeva per Sessa – illudendosi – soluzioni diverse da quelle del progetto iniziale.

I Decreti della Santa Sede avviano un processo che sarà lungo e non potrà essere concluso durante l’episcopato di Mons. Cirulli. Non bisogna illudersi. Oltre alla nomina di un unico vescovo, sarà necessario un cammino di conoscenza reciproca e una condivisione del progetto, capace di valorizzare le ricchezze di tutte le chiese locali chiamate a confluire nella futura Chiesa dell’Alto Casertano, evitando inutili competizioni, desideri di predominio e conflitti. Infatti, una diocesi non la si costruisce con i decreti, né intorno al carisma di un vescovo. Quando questo è successo, ci si è accorti che la conclusione di un episcopato ha lasciato le diocesi disorientate e con uno stuolo di “vedove” che invece di guardare al futuro rimpiangono il gerarca che è andato via.

Pertanto, occorre innanzitutto non vivere di nostalgie, di rimpianti e di sogni di ritorno al passato. Lo spopolamento e la marginalizzazione dei nostri territori realisticamente escludono e sconsigliano il rinascere di piccole realtà ecclesiali legate alle condizioni di vita del tempo che fu. Occorre quindi esercitare la virtù della speranza e guardare lontano. E prima ancora conoscersi e individuare linee pastorali comuni. È un lavoro che deve coinvolgere la base clericale e laicale, gli organismi di partecipazione, le Associazioni e i Movimenti, gli uffici di Curia….
La comunione diocesana non la costruisce un vescovo onnipresente che percorre in modo forsennato le tre diocesi soltanto per presenziare manifestazioni e celebrare Sacramenti.

Inoltre, le nostre piccole chiese sono scrigni di valori, esperienze, cultura, spesso sconosciute agli stessi sacerdoti e laici che ne fano parte. Costruire una nuova realtà ecclesiale comporta quindi un intenso periodo di scambi e di conoscenza reciproca, con la volontà di far emergere il meglio. E, prima ancora, di rendimento di grazie allo Spirito che nella storia ha suscitato quelle straordinarie ricchezze di fede e di umanità.

Con tale animo grato e colmo di speranza occorre successivamente porsi la domanda: “Quale Chiesa vogliamo costruire nell’Alto Casertano?” e lavorare alla formulazione di un progetto, che non deve essere limitato al clero, ma deve coinvolgere tutto il popolo di Dio. Si tratta di vivere una forte esperienza sinodale locale che non si limita a qualche riunione per obbedire al Papa, ma di un camminare insieme da fratelli che coinvolge tutti: laici, sacerdoti, uomini, donne, giovani, tutti impegnati in un gioco di squadra che sperimenta e costruisce chiesa, popolo di Dio, umanità nuova di fratelli animata dal Vangelo.

In questo gioco di squadra, va curata l’esperienza della preghiera, che alimenta la fede, altrimenti si scade in contrattazioni e spartizioni che mondanizzano il camminare insieme e rinnegano la fede cristiana. Solo da tale forte e faticoso incontro/coinvolgimento nella costruzione di un progetto comune, può nascere uno stile e una nuova realtà di chiesa che guardi al futuro e all’annuncio del Vangelo alle nuove generazioni. Infatti, sarebbe errato delegare tutto alla persona del vescovo, attendendo che dalla sua testa nasca una nuova chiesa, come Minerva dalla testa di Giove, relegando ad operazione di contorno il coinvolgimento degli organismi pastorali e del Popolo di Dio. Fatta l’Italia, occorre fare gli Italiani, fu detto qualche anno fa. Pubblicati i Decreti pontifici, bisogna costruire il Popolo di Dio che vive in Alife-Teano-Sessa.

È un’esperienza esaltante cui il Signore chiama questa generazione di cristiani. Mettiamoci in cammino con fiducioso entusiasmo e con spirito evangelico, con la consapevolezza che dal nostro impegno dipenderà in futuro la fede e la qualità umana dei nostri territori.

+ don Valentino

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Sinodo: progettare l’ascolto https://www.memoriafuturo.it/2022/03/02/sinodo-progettare-lascolto/ https://www.memoriafuturo.it/2022/03/02/sinodo-progettare-lascolto/#respond Wed, 02 Mar 2022 19:23:25 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=863 Con l’indizione del Sinodo sulla sinodalità, Papa Francesco invita la Chiesa a mettersi in ascolto perché possa intercettare le domande che la Parola di Dio, ma anche gli uomini e le donne di oggi, credenti e no, pongono alla Comunità cristiana perché torni ad essere strumento di salvezza. Questo invito è particolarmente importate perché la Chiesa (senza volerlo) sembra essere diventata sorda alle istanze degli uomini e delle donne di oggi e procedere con letture della realtà e schemi pastorali desueti che allontanano il Vangelo dalla vita, tarpandole le ali e privandola della possibilità di fiorire.

L’invito all’ascolto si abbina con la frequente condanna del clericalismo, che Papa Francesco talora presenta come una forma di chiusura, di allergia all’altro e di sordità spirituale da parte di coloro che sono stati chiamati nella Chiesa ad esercitare un ministero sacro. Ricordo che quando dopo il Concilio furono istituiti i primi Consigli presbiterali, molti sacerdoti vissero con grande entusiasmo questa opportunità di ascolto e di confronto nella Chiesa, ma ricordo anche la reazione di qualche Vescovo, che attaccandosi al valore “consultivo” di tali dibattiti, li accolse talora col cinismo dell’uomo di potere, che lasciava sfogare i preti, consapevole che alla fine il potere decisionale rimaneva nella sue mani. Mi raccontò un sacerdote che l’Arcivescovo Michele Giordano partecipando ad un infuocato dibattito del Consiglio presbiterale della sua diocesi, ascoltava in silenzio, commentando sottovoce con un anziano sacerdote che gli stava vicino: “Lasciali parlare, tanto alla fine decido io!”.  Purtroppo la stessa scena spesso si è ripetuta nelle parrocchie, da parte dei preti nei confronti dei membri del Consiglio pastorale o degli Affari economici (nei casi in cui sono stati attivati), ma spesso chi è malato di clericalismo considera gli organismi di partecipazione ecclesiale come inutili orpelli, talora vantandosi di farne a meno.

La mentalità clericale crea un grosso equivoco sul valore consultivo degli organismi di partecipazione, che sono tali per affermare che la Chiesa non è una democrazia parlamentare, ma una famiglia, in cui non ci si contrappone o si lotta per affermare il proprio punto di vista o il proprio interesse, ma ci si ascolta nell’amore e nella consapevolezza che ogni persona è un valore e che chi sta a capo è chiamato ad esercitare un ruolo “paterno”, teso non ad affermare la propria volontà, ma ascoltare tutti per fare il bene della famiglia stessa.

Purtroppo il clericalismo riafferma nella Chiesa rapporti di potere e schiaccia la dimensione familiare, che è costitutiva del Popolo di Dio, chiamato ad essere un’umanità nuova sul modello delle relazioni alte presenti nella Trinità.

Eppure è proprio l’ascolto che costruisce la Chiesa. Negli anni del mio episcopato, durante la Visita Pastorale e il Sinodo, la partecipazione ai vari momenti di ascolto programmati ha fatto vivere a me e alla gente meravigliose esperienze ecclesiali. Ricordo con gioia il lavoro dei Gruppi di studio e delle varie Commissioni preparatorie; gli incontri con tutte le associazioni e i gruppi di ogni parrocchia; i Centri di ascolto nella famiglie (ne ho animati più di 120!) in cui la Parola di Dio non serviva solo a istruire, ma educava ad ascoltarci tra noi; le belle celebrazioni comunitarie in cui ogni gruppo presentava la sue riflessioni e le sue preghiere; le nutrite assemblee di Forania (bellissime quelle delle foranie periferiche quali Ailano, Piana di Monte Verna!); le assemblee sinodali generali in Cattedrale…. Un lungo allenamento all’ascolto che ci faceva crescere e ci regalava la gioia di essere una Comunità diocesana, non governata solo da una casta clericale. (A tale riguardo penso con molta tristezza a quanti hanno presentato il Sinodo diocesano come un’operazione calata dall’alto: il clericalismo arriva anche alla menzogna e alla disonestà!).

L’esperienza bellissima, vissuta in questi momenti, mi ha convinto che la dimensione dell’ascolto non la si proclama, ma si programma. E soprattutto occorre individuare i luoghi e i momenti in cui esercitarla. Inoltre, non è possibile viverla in una diocesi in cui la vita ecclesiale è appannaggio di una casta pretesca e non è frutto di decisioni maturate comunitariamente, oppure quando non esistono i Consigli pastorali o quelli degli Affari economici o esistono solo sulla carta. L’ascolto non è una velleità ma un esercizio costante, maturato nelle strutture opportune. Quando queste mancano, domina la mentalità clericale del parroco-duce e il conseguente clericalismo diventa la negazione di una Chiesa che vive come famiglia.

Dobbiamo ringraziare papa Francesco di aver indetto il Sinodo sulla sinodalità ed aver coinvolto tutte le Chiese locali, stimolandole a porsi in ascolto. Mi auguro che da tale scelta ognuno nella Chiesa possa scoprire la gioia di appartenere ad una umanità nuova che il Padre convoca perché sia anima e fermento del mondo. Auspico altresì che, liberandosi dalle pastoie del clericalismo, tanti sacerdoti scoprano la bellezza della propria vocazione. A me la Visita pastorale, la celebrazione del Sinodo diocesano e i vari momenti istituzionali di incontro e di confronto  – facendomi vivere l’esperienza dell’ascolto – hanno fatto capire la mia missione di vescovo. Spero che col Sinodo di Papa Francesco il Signore conceda a tanti questa grazia, che dona vigore e passione alla Chiesa e alimenta nuove speranze per tutti.

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Una chiesa nuova per l’oggi https://www.memoriafuturo.it/2021/06/19/una-chiesa-nuova-per-loggi/ https://www.memoriafuturo.it/2021/06/19/una-chiesa-nuova-per-loggi/#respond Sat, 19 Jun 2021 08:57:03 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=799 Papa Francesco continua a stimolare la Chiesa a rinnovarsi per parlare all’uomo d’oggi. Nella Evangelii Gaudium, documento programmatico di inizio Pontificato, usa al riguardo il termine “conversione pastorale” (EG 27); successivamente a Firenze, in occasione del Convegno Ecclesiale della Chiesa Italiana (2015), ha sollecitato i cattolici del nostro Paese a farsi protagonisti di un nuovo umanesimo; ultimamente ha chiesto che la Chiesa italiana celebri un Sinodo: un grande convenire di consacrati e laici per riproporre il volto autentico della Comunità cristiana alla società contemporanea, sempre meno partecipe della sua vita. Ho cercato di immaginare la Chiesa del futuro.

A tal proposito, mi sono domandato spesso perché la gente 70 anni fa frequentava quasi in massa la Messa festiva e le manifestazioni religiose. Non mi pare fosse motivata dal desiderio di crescere nella comunione e nella fraternità, ponendosi in ascolto della Parola di Dio e spezzando insieme il Pane, ma piuttosto per adempiere un precetto, per non peccare trasgredendolo, per paura dei castighi di Dio, per salvarsi l’anima, per pregare per i defunti…  Si trattava, in genere, di una presenza molto passiva, che per i più mirava a vincere le paure e a “togliersi il pensiero”. Infatti, eccetto a Pasqua, e per obbedire ad un altro precetto, o in occasione di  devozioni come i “primi venerdì del mese”, che promettevano sicuri premi di salvezza a chi li praticava, normalmente all’Eucarestia si accostavano pochi fedeli. Tuttavia i buoni esempi dei sacerdoti e delle famiglie hanno formato generazioni di cristiani.

Ho l’impressione che l’introduzione della lingua volgare nella liturgia abbia poco scalfito quelle motivazioni della partecipazione alla Messa festiva che rimangono identiche, anche se meno cogenti per le nuove generazioni, che pertanto la vivono quasi esclusivamente come occasione per far festa e onorare i defunti.

Eppure i sacerdoti continuano a chiedere ai cristiani la partecipazione ai riti festivi, a colpevolizzare gli inadempienti, a moltiplicare riti cristiani spesso per persone praticamente atee, a servirsi della pietà verso i defunti o delle tradizioni popolari per attirare in Chiesa persone che oggi comprendono sempre meno il significato della Messa, e ancor meno quello dell’Eucarestia… Del resto, crollata la trasmissione della fede in famiglia, le strutture formative ecclesiali risultano sovente improvvisate e desuete, nonostante il grande movimento del rinnovamento della catechesi avviato in Italia dopo il Concilio, l’impegno generoso e competente di molti catechisti e catechiste e la presenza nel tessuto ecclesiale italiano di numerose e valide associazioni laicali dedite alla formazione cristiana. Ho potuto constatare tale preoccupante situazione durante la Visita pastorale nella mia diocesi e nel corso del mio servizio come Delegato per la Catechesi nella Conferenza Episcopale Campana, quando sono venuto a contatto con la catechesi concreta delle nostre parrocchie.

Cosa fare? Alla fine del Vangelo di San Matteo (28,19) Gesù invita gli apostoli ad  “andare”; “ammaestrare tutte le nazioni”; “battezzandole”.
Sono tre movimenti precisi che definiscono l’azione della Chiesa. Ma ho l’impressione che tante nostre realtà ecclesiali obbediscano solo in parte al mandato di Gesù, privilegiando quasi esclusivamente il terzo movimento, quello sacramentale (“battezzandole”), ignorando gli altri due “andate” e “ammaestrate” e presentando pastori che sovente vivono in disparte, alla stregua di funzionari, e si limitano a rari e spesso poco qualificati momenti di annuncio del Vangelo, mentre appaiono preoccupati quasi esclusivamente di celebrare (per pochi) la Messa quotidiana in suffragio dei defunti, ignorando rassegnati le pecore che “non sono di questo ovile”, cioè i figli e nipoti dei nostri fedeli per i quali la Chiesa ha perso quasi ogni significato.

Papa Francesco ci dice di cambiare questa prassi stanca (e ahimè purtroppo comoda!), invitando i pastori ad “andare”, cioè a stare tra la gente (“con l’odore delle pecore”), cioè a girare per la parrocchia inventandosi ogni occasione per essere presente, semplicemente presente, nei luoghi di vita e non soltanto per celebrare riti ufficiali, presentandosi come personaggi importanti sul parterre. Questo modo di fare pastorale, Francesco lo chiama “Chiesa in uscita”: cioè alla gente si va, non la si aspetta in chiesa come funzionario di un ufficio.

E poi, rimane l’obbligo primario di annunciare il Vangelo in ogni modo per far confrontare la gente con l’umanità vera di Gesù e farla crescere. Tale annuncio non può limitarsi a qualche omelia o a qualche incontro con gli “aficionados” delle nostre parrocchie…
Come sarebbe bello se il prete invece di moltiplicare Messe, durante la settimana, avviasse nelle famiglie centri di ascolto del Vangelo! La mia esperienza, condivisa positivamente con alcuni dei miei sacerdoti mi confermava dalla loro stessa voce quanto fosse un momento atteso, accolto, vissuto con profondità dalla gente.
La Messa festiva, allora, diventerebbe il momento felice in cui si incontrano persone che ascoltando la Parola sono diventati più amici e che intorno all’Eucarestia diventano ogni domenica più fratelli.

È un sogno? Io immagino così la Chiesa di domani.
Sono convinto che il Signore stia permettendo la distruzione di un cristianesimo non molto autentico, per costruire una comunità cristiana che si impasti nel mondo come “fermento e anima” e lo faccia crescere in umanità vera, quella che sogna il Padre.

+ don Valentino

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Casa, padre e amministratore https://www.memoriafuturo.it/2021/05/28/casa-padre-e-amministratore/ https://www.memoriafuturo.it/2021/05/28/casa-padre-e-amministratore/#respond Fri, 28 May 2021 13:29:18 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=784 Nel corso della mia vita ho incontrato tanti proprietari di casa e, soprattutto in città, qualche amministratore di condominio, e ho avuto la possibilità di studiare i diversi modi di porsi di fronte al bene più caro di molti italiani. Soprattutto nel padre, proprietario di casa, ho sempre notato la passione per la propria  abitazione, la preoccupazione che essa potesse offrire tutti i comfort perché le persone care,  vi vivessero comodamente e decorosamente e, quindi, il desiderio di migliorarla, spesso informandosi circa le modifiche buone apportate dai vicini, per introdurle nella propria dimora. Per la casa il padre è disposto a far sacrifici ed anche ad indebitarsi, senza lamentarsi o far pesare la cosa sulla sua famiglia, pago soltanto dell’apprezzamento e della gioia che i suoi sacrifici producono nella vita domestica.

Di fronte allo stesso bene, molto diverso è l’atteggiamento dell’Amministratore di condominio. Il suo non è un rapporto affettivo, ma interessato e formale. Conseguentemente la preoccupazione principale è far quadrare il bilancio. Preferisce occuparsi della sola ordinaria amministrazione, non si entusiasma per la qualità del bene-casa e considera rogne e non opportunità le eventuali riparazioni o migliorie. Normalmente partecipa alle riunioni non con il desiderio di coinvolgere in progetti, ma con la voglia di concluderle senza strascichi e nel più breve tempo possibile. Talora si rende disponibile a innovazioni, ma soltanto in funzione della sua immagine e della stima che gliene può derivare per accrescere la clientela e i suoi guadagli. Si mostra offeso quando i condomini rilevano la sua poca passione per il bene amministrato. Vorrebbe essere elogiato anche per quello che non fa ed essere trattato da benefattore.

Al padrone di casa piace stare a casa, mentre l’amministratore affigge avvisi, dà ordini, ricorda scadenze senza essere sul posto, ritenendo il contatto umano con gli inquilini superfluo e fastidioso.

Quella del padrone di casa e dell’amministratore del condominio, sono due logiche che si contrappongono, ma puntualmente si ripropongono nei contesti più disparati.

Trasferendoci in ambito ecclesiale, sono fermamente contrario alle lunghe Amministrazioni Apostoliche delle Diocesi, che trasformano la vita di una Chiesa locale in qualcosa da gestire e da rendicontare da parte di chi – strutturalmente – non è coinvolto affettivamente nella realtà di cui si occupa. Anche se vengono usati termini come Padre, Pastore…., in effetti chi è investito di tale compito si trova nelle condizioni di un freddo esecutore testamentario di fonte a beni che grondano affetti, fatiche, ricordi, con la tentazione di essere superficiale, decisionista o sbrigativo. Potrebbero fare la differenza, lo spessore spirituale del personaggio incaricato e la sua passione per il Regno, ma indipendentemente da questi ultimi aspetti la situazione è oggettivamente non coinvolgente.

La Diocesi di Alife-Caiazzo ha subito per ben tre volte (quattro o cinque se consideriamo la lunga sede vacante – dal gennaio 1998 a maggio 1999 – tra Mons. Nicola Comparone e mons. Pietro Farina e la lunga gestione di quest’ultimo – più di un anno – una volta nominato vescovo di Caserta) questo provvedimento, che l’ha molto danneggiata in passato, facendo disperdere entusiasmi valori e beni culturali solo in parte recuperati dall’azione meritevole di Mons. Angelo Campagna (e di qualche suo successore), che ha dovuto ricostruire una chiesa a partire da due monconi abbandonati e mal ridotti. L’ultima tragica esperienza di Amministrazione Apostolica la nostra Diocesi l’ha subita recentemente. Al di là dell’azione più o meno incisiva del vescovo amministratore, quella che era una chiesa lanciata verso una normalità ecclesiale si è trovata sola e orfana, senza prospettive e idee, con un futuro incerto, del quale nessuno parlava, e trattata come un’azienda in cui i problemi importanti erano quelli economici e tutto il movimento di rinascita ecclesiale avviato in mano a chi, non sentendosi investito di paternità reale, drammatizzava e accoglieva con malcelato fastidio e con la tendenza a colpevolizzare ogni questione normale, propria di ogni diocesi.

Il vantaggio di questa ultima Amministrazione Apostolica, rispetto alle lunghissime esperienze precedenti, è stato quello che è durata meno di due anni. L’entusiasmo e la vitalità della diocesi nei mesi successivi alla nomina del nuovo Pastore, finalmente vescovo (anche se di due diocesi) e quindi investito di paternità reale, al di là delle qualità personali e della grande esperienza pastorale, è stata la risposta al desiderio di paternità e di famiglia, fortemente presente nei  sacerdoti e nel Popolo di Dio e purtroppo frustrato nella situazione precedente.

Considerando che negli ultimi 60 anni la Diocesi di Alife-Caiazzo è stata complessivamente per 19 anni senza Vescovo, il progetto di Papa Francesco di creare una grande diocesi nell’Alto casertano, pur esigendo molta generosità e molto discernimento dal Vescovo, dai Presbiteri e dal Popolo di Dio, ritengo che sarà foriero di buoni frutti e avrà almeno il vantaggio di non sottoporre in futuro le nostre piccole chiese ad esperienze di provvisorietà e a momenti di vuoto, malamente gestiti, per i quali finora hanno pagato un prezzo troppo costoso e umiliante.

+ don Valentino

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Amare la propria Diocesi https://www.memoriafuturo.it/2021/05/14/amare-la-propria-diocesi/ https://www.memoriafuturo.it/2021/05/14/amare-la-propria-diocesi/#respond Fri, 14 May 2021 13:35:13 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=771 Sono nato in un paesino del Sud, Frasso Telesino, dove sono stato educato ad un forte senso della Famiglia.
Conosco storie bellissime di genitori che hanno fatto sacrifici enormi per i figli, senza pretendere alcun riconoscimento, se non quello di vedere il progresso che essi hanno fatto grazie alle loro fatiche. Si tratta di persone grandi e schive che hanno pensato solo agli altri e mai a sé.
Ricordo con orgoglio la faccia di mio padre quando qualcuno gli disse che voleva proporlo per il titolo di cavaliere (declinando l’invito), ma anche il suo comportamento esigente nei confronti di noi figli e soprattutto la lucentezza dei suoi occhi di fronte ai nostri successi: quelli erano i titoli che gli interessavano.

Sono stato chiamato dal Signore al Sacerdozio e non ho una mia famiglia, ma ho vissuto molto intensamente il rapporto con la mia famiglia di elezione, la Diocesi. Sono molto grato al Cardinale Ugo Poletti che ci ha educato a sentire la Diocesi di Roma come la nostra famiglia, ad impegnarci per la sua crescita e ad essere orgogliosi dei suoi successi. Ricordo che quando, partecipando ad incontri extra diocesani, sentivamo parlar bene della nostra chiesa ed apprezzare i successi raggiunti nei diversi ambiti pastorali, provavamo una sensazione bellissima.

Educato a questa esaltante esperienza di “gioco di squadra”, sono rimasto sempre scandalizzato nel sentire preti che parlano male della propria diocesi o godono nell’evidenziarne i limiti, prendendo le distanze dalla sua vita per esaltare se stessi e le loro piccole iniziative individuali. Preti pronti a denigrare le ricchezze della loro famiglia diocesana, soprattutto se non ne sono riconosciuti protagonisti. O innamorati della loro immagine senza preoccuparsi della crescita di tutta la loro Chiesa e in particolare di confratelli, forse più timidi o più lenti, cui spesso si contrappongono o procurano umiliazioni. O quelli che, come certi cittadini italiani, sono sempre pronti a lodare ciò che avviene nell’orto del vicino e a disprezzare o ignorare quanto cresce nell’orto proprio. Ricordo un sacerdote della mia Diocesi di Alife-Caiazzo, sempre pronto a riferirmi le cose belle che realizzavano i vescovi di altre diocesi e muto o infastidito di fronte a realizzazioni anche migliori che  avvenivano nella nostra.

Amare la propria diocesi significa, come nel caso di quegli ammirevoli genitori del mio paese, lavorare per il Noi e non per l’io, fare “gioco di squadra” e non “ballare da soli” e, avendo qualche idea pastorale felice, preoccuparsi di donarla agli altri prima di realizzarla in proprio, per dimostrare – con meschinità infinita e poco spirito evangelico – che si è il primo della classe, e che gli altri non valgono nulla.
La grandezza di un prete invece sta nel far crescere gli altri e dar loro sempre nuove motivazioni per servire il Regno di Dio. Nella mia lunga vita di prete, ho dovuto constatare che purtroppo la scarsa qualità di alcuni presbiteri dipende quasi sempre dalla presenza di questi soggetti in cerca di glorie personali. Nel mio ministero episcopale ho conosciuto, invece, tanti preti e laici che hanno lavorato e lavorano con grande sacrificio e passione per la diocesi che ho guidato: persone silenziose che hanno impegnato tempo, fatica e talvolta denaro per la sola soddisfazione di  veder funzionare bene qualche settore diocesano e sentire che il lavoro che svolge la propria Chiesa è apprezzato a livello extradiocesano o di CEI.
Durante la celebrazione del Sinodo, ho visto anche la fatica di tanti per fare dell’evento un momento di grande partecipazione (com’è stato) e l’atteggiamento di altri, soprattutto preti (peraltro poco attivi nelle assemblee sinodali), preoccupati solo dei titoli e dei ruoli da esibire, lasciando le cose a metà quando si trattava di concludere e di lavorare nell’ombra perché il risultato finale fosse di qualità.
Penso che adesso dicano che il Sinodo è stato imposto dal Vescovo, ma spero anche che sentano il bisogno di confessarsi di questa grave bugia.

È importante che vescovi, preti e laici amino la diocesi, lavorando per la sua crescita e non per la propria gloria. In quest’ultimo caso si rischia di diventare costruttori di chiese/mostri che vivono in funzione del  leader di turno, che quando scompare, lascia rimpianti, vuoto e soprattutto chiese che non essendo state amate per sé, ma in funzione di altri, rimangono disorientate e incapaci di riprendersi.
Ringrazio il Signore perché non essendo stato nominato vescovo in giovane età sono stato “esonerato” de facto da tentazioni carrieristiche e, anche per l’educazione ricevuta nei miei anni romani, mi sono dedicato interamente alla crescita della Diocesi che ho amato ed amo ancora.
Come mio padre, sono stato esigente, ma ancora oggi mi brillano gli occhi quando, anche senza di me, sento che la Chiesa per cui ho lavorato, appena riceve gli stimoli giusti del Pastore, continua a costruire il Regno nel territorio alifano-caiatino.

+ don Valentino

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Mons. Angelo Campagna: uomo di Dio, contento e appassionato https://www.memoriafuturo.it/2020/12/09/mons-angelo-campagna-uomo-di-dio-contento-e-appassionato/ https://www.memoriafuturo.it/2020/12/09/mons-angelo-campagna-uomo-di-dio-contento-e-appassionato/#respond Wed, 09 Dec 2020 19:30:37 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=631 Il trentesimo anniversario della morte di S.E. Mons. Angelo Campagna (1923-1990), che ricorre il 10 dicembre, rappresenta una preziosa occasione per ricordarlo e per riflettere sul significato del suo episcopato nella Diocesi di Alife-Caiazzo, di cui divenne il primo Vescovo nel 1986.

L’ho conosciuto personalmente nella seconda metà degli Anni Ottanta, quando, incaricato dal Comitato per il riconoscimento degli Istituti di Scienze Religiose della CEI, di cui ero membro, mi recai a Piedimonte Matese per ispezionare quell’Istituto diocesano. Nel programma era prevista anche la visita al Vescovo. Fu cosi che incontrai Mons. Campagna, dopo aver atteso qualche minuto, perché arrivava da Caiazzo e perché problemi di deambulazione rendevano lento e faticoso per lui raggiungere l’episcopio, al secondo piano del Palazzo. Fu un incontro molto bello e cordiale, mi trovai di fronte ad una persona gentile e accogliente che, dopo aver affrontato  brevemente  l’oggetto del nostro incontro, alla fine mi raccontò del suo ministero di prete della Diocesi di Salerno, dell’allora Arcivescovo, Mons. Gaetano Pollio, della nomina a Vescovo chiesta dal suo Ordinario come “premio” per l’ impegno e la paziente tessitura di buoni rapporti tra un Pastore molto determinato e le esigenze del clero salernitano. Mi parlò anche con serenità delle difficoltà incontrate ad Alife-Caiazzo, manifestandomi la sua premura per la diocesi da poco istituita, che gli era stata affidata. Mi rimasero impressi il suo sorriso, la sua semplicità e la sua voglia di far crescere la Chiesa in un territorio che finalmente riaveva il Pastore, dopo essere stato a lungo amministrato come trascurabile appendice di altre circoscrizioni ecclesiastiche.

Divenuto Vescovo di Alife-Caiazzo, ho compreso meglio la figura e l’opera preziosa di questo mio Predecessore, chiamato a “rifondare” la Chiesa in un territorio periferico, dove le Amministrazioni Apostoliche avevano  fatto perdere il senso dell’identità diocesana, faticosamente costruito per secoli da bravi e zelanti Vescovi e da figure sacerdotali e laicali di tutto rispetto. Mons. Campagna lavorò molto per costruire questo senso di appartenenza, senza proclami, ma vivendo molto tra la gente e facendo partire tutte quelle iniziative necessarie per riavviare la vita diocesana. Questa aveva bisogno innanzitutto di recepire i decreti e gli orientamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, sulla linea di quanto in quegli anni stavano facendo tutte le diocesi italiane. Mons. Campagna riorganizzò la Curia e le strutture amministrative diocesane, promosse i Convegni diocesani, il piano pastorale, la recezione del nuovo modello di catechesi e dei nuovi catechismi, la formazione permanente dei Sacerdoti, la crescita del laicato… Accanto a queste iniziative, curò molto la riscoperta delle radici storico-culturali della Diocesi e del Territorio, recuperando documenti e manufatti dispersi o caduti in oblio.  Si impegnò anche a provvedere la diocesi e alcuni territori di necessarie strutture pastorali. Avendo trovato un Clero insufficiente (negli anni delle Amministrazioni Apostoliche ci erano state pochissime ordinazioni) e non omogeneo, cercò di curare molto la pastorale vocazionale, accettando in diocesi anche sacerdoti che non sempre corrisposero ai suoi progetti.

In un appunto del suo Successore, Mons. Nicola Comparone, ho avuto la conferma del fatto che non sempre il presbiterio diocesano si è lasciato pienamente coinvolgere nel raggiungimento degli obiettivi pastorali da lui indicati e, come capita spesso ai Vescovi, ha dovuto affrontare diverse questioni e contrasti proprio con alcuni Sacerdoti, come ho potuto capire anche da alcuni faldoni corposi trovati nell’Archivio del Vescovo e da voci ricorrenti, raccolte tra il Clero e la gente.

Ma a distanza di tre decenni, Mons. Campagna continua ad essere ricordato dalla gente come un uomo  buono, umile e gentile, un “uomo di Dio” contento e appassionato, “un pastore con l’odore delle pecore”, un vescovo che “stava al chiodo”, tutto concentrato sul bene della Diocesi che il Signore gli aveva affidata (che percorreva in lungo e il largo alla guida della sua Centoventisei), una persona con grandi capacità di mediatore, ma intransigente soltanto quando c’era da promuovere o da difendere un bene spirituale maggiore. Svolse la sua missione di Vescovo senza enfasi e inutili orpelli, ma col cuore di un buon parroco che non si arrende di fronte alle difficoltà, ma infonde fiducia e coraggio, animato dall’ottimismo della fede.

Mi venne subito in mente il suo nome, quando si trattò di intitolare il Centro Diocesano per la Famiglia. A chi altri infatti, si sarebbe potuta intitolare un’ “opera segno”, progettata in occasione del XXV della Diocesi, che voleva testimoniare la premura della Chiesa locale per i poveri, le persone e soprattutto le famiglie in difficoltà, se non a Colui che aveva amato questa Chiesa, per la quale si era speso fino all’ultimo, che era stato vicino alle famiglie e ai poveri, aveva seguito come un padre tanti giovani, era stato onnipresente in ogni momento della vita diocesana e delle parrocchie, per portare ovunque il suo sorriso, la sua paternità  e la sua bontà sincera? Altri proponevano nomi più illustri e prestigiosi che però non si erano spesi come lui per la nostra diocesi nel corso degli anni 1978-1990, soprattutto tenendo conto che il suo zelo e la sua passione non si sono affievoliti, né spenti neppure quando, negli ultimi tempi, la malattia costringeva al quasi immobilismo il suo fisico, ma non certamente il suo cuore di Pastore.

Con il Clero di Alife-Caiazzo qualche anno fa siamo stati a visitare la sua Tomba, ora sistemata in una piccola Chiesa periferica del Suo paese natale, Montecorvino Pugliano (SA). Quella modesta sepoltura, benché sia in sintonia con lo stile di vita dell’uomo, mi ha fatto tenerezza. Mi è venuto da pensare che forse il suo posto sarebbe dovuto essere nella sua Cattedrale di Alife, nel contesto che lo ha visto donare la sua vita per i fratelli, sull’esempio del suo Signore  Gesù Cristo, a testimonianza di un amore che ha fecondato e continua ad essere riferimento forte per la Chiesa di Alife-Caiazzo (sul sito www.clarusonline.it della Diocesi di Alife-Caiazzo, la cronaca di quella giornata. Link).

+ don Valentino

Fonte Clarus

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