Papa Francesco – Memoria e Futuro https://www.memoriafuturo.it il tempo è superiore allo spazio Mon, 09 Jan 2023 21:43:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.3.17 172263171 Diocesi dell’Alto Casertano. Quale futuro? / 2 https://www.memoriafuturo.it/2023/01/09/diocesi-dellalto-casertano-quale-futuro-2/ https://www.memoriafuturo.it/2023/01/09/diocesi-dellalto-casertano-quale-futuro-2/#respond Mon, 09 Jan 2023 21:37:12 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=898 Quando nel 2010 sono arrivato nella Diocesi di Alife-Caiazzo (frutto della fusione di due precedenti Circoscrizioni, avvenuta nel 1986), ho notato il prevalere di Alife (in alcuni preti alquanto spocchioso) e l’atteggiamento mortificato di Caiazzo, che mi apparve una realtà meno vivace e poco attiva nel consesso diocesano.
Con la Visita pastorale alle Comunità dell’ex Diocesi di Caiazzo e la preparazione del “Dizionario dei testimoni della fede” (di prossima pubblicazione), ho invece scoperto che l’antica Chiesa caiatina era una realtà di belle tradizioni, con significative esperienze pastorali e che ha avuto ottimi vescovi, certamente non inferiori a quelli di Alife. Come pure che la situazione che inizialmente avevo colto dipendeva dal fatto che Caiazzo aveva vissuto la fusione con Alife con rassegnata passività, forse sognando un improbabile futuro ritorno all’autonomia.

Pertanto, quando il 23 maggio 2013, il Papa ha di fatto “decretato” anche la fine della Diocesi di Alife-Caiazzo, ho impostato la vita pastorale pure in funzione di quella concreta eventualità, facendo alcune importanti scelte che permettessero alla nostra realtà diocesana di entrare a testa alta in un eventuale consesso più ampio:
1. per suscitare il senso di appartenenza alla Chiesa locale, ho avviato innanzitutto una lunga Visita pastorale, rimanendo una settimana in ogni parrocchia e incontrando tutte le realtà del territorio (Dedicare tempo a ciascuna di loro significava dare valore a quanti incontravo, ognuno con un bagaglio di idee e di esperienze importante e necessario alla crescita collettiva, compresa la mia);
2. ho poi cercato di rinnovare la pastorale alquanto stantia delle parrocchie (anche laddove alcuni parroci che si ritenevano “all’avanguardia” la camuffavano con iniziative “teatrali” o d’occasione) cercando di spostare il baricentro pastorale dalla sacramentalizzazione selvaggia (fatta di “Messe, Morti e Sacramenti”) all’evangelizzazione (Centri d’ascolto del Vangelo nelle case, nuove norme per l’iniziazione cristiana: Catecumenato crismale, coinvolgimento sistematico dei genitori in occasione dei Sacramenti dei figli..), formazione dei catechisti e degli operatori pastorali, compresi gli Insegnanti di religione….;
3. ho incrementato il rapporto con il territorio e il servizio alla sua promozione, dando una impostazione più aperta ai servizi diocesani quali Clarus (giornale periodico e quotidiano online), Biblioteca diocesana e Caritas, e avviando l’Archivio storico diocesano e il Centro per la famiglia…, spingendo ciascuno di essi ad interagire in maniera specifica con Enti, Associazioni, Istituzioni, Parrocchie;
4. ho rilanciato e avviato (ove erano assenti) gli organismi di partecipazione e il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei laici nella vita della Diocesi, suscitando concreto ascolto e condivisione di idee e progetti;
5. ho provveduto a ristrutturare la Curia, con la presenza significativa dei laici che si sono rivelati più affidabili di alcuni sacerdoti (che non sempre prendono sul serio gli incarichi diocesani, interpretandoli spesso soltanto come funzioni di puro potere) e costituendo èqujpes allargate di lavoro;
6. infine, ho indetto il primo Sinodo Diocesano, che ha dato alla Diocesi una “Regula Pastoralis” (LIBRO DEL SINODO) per aiutare a superare l’individualismo e la pastorale a ruota libera di molti parroci, ma soprattutto per offrire all’intera Comunità diocesana uno strumento per vivere la comunione, sulla scorta di precedenti occasioni di confronto.

Anche se non tutti i Sacerdoti hanno compreso il senso di tali importanti scelte e taluni vivono ancora di miti del passato o inseguendo prospettive pastorali individualistiche e vaghe, ritengo che la Diocesi di Alife-Caiazzo possa entrare nella nuova realtà voluta dal Santo Padre, recando doni nuovi e doni antichi.

+ don Valentino

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Diocesi dell’Alto Casertano. Quale futuro?

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Da Papa Francesco, ossigeno per la Chiesa https://www.memoriafuturo.it/2022/03/28/da-papa-francesco-ossigeno-per-la-chiesa/ https://www.memoriafuturo.it/2022/03/28/da-papa-francesco-ossigeno-per-la-chiesa/#respond Mon, 28 Mar 2022 11:00:20 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=875 Sono nato in un ambiente provinciale, dove – soprattutto in passato – appartenere al Clero costituiva un privilegio sociale, culturale e anche economico. Ma, esercitando il ministero sacerdotale a Roma, ho imparato che il dono del presbiterato non inserisce in un gruppo di privilegiati, cui nella Chiesa tutto è dovuto e che dal momento dell’Ordinazione diventano quasi i padroni del Popolo di Dio, ma chiama a servire, in analogia con quanto ricorda San Paolo nella Lettera ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,5-11), in cui tutta la vicenda dell’Incarnazione del Verbo è letta nella logica del rifiuto del privilegio.

Sono rimasto quindi piuttosto perplesso quando, diventato vescovo e tornando nelle mie zone, ho notato tra diversi preti una mentalità padronale nei confronti dei laici e una considerazione del proprio ministero come privilegio incontestabile nelle Parrocchie e nell’ambito diocesano. Tale mentalità spesso generava nei preti un atteggiamento di fastidiosa superiorità e di pretesa di obbedienza soprattutto nei confronti dei laici impiegati in Curia e di quelli che in qualche modo dipendevano dalla Diocesi come gli Insegnanti di Religione, che alcuni preti sembravano considerare come membri del Popolo di Dio senza diritti, ricattabili e obbligati solo ad obbedire.

Ricordo l’arroganza con cui un prete pretendeva l’uso di una sala della Curia, oggettivamente non disponibile, da un impiegato laico, come farebbe un padrone con uno schiavo (risentito che il suo interlocutore non gli obbedisse “perinde ac cadaver” facendo l’impossibile), e le rimostranze di un giovane prete che in una importante Commissione tecnica diocesana, che doveva rivedere la forma del Testo del Libro del Sinodo, aveva visti inseriti (dal Vescovo) due laici e non lui “che era prete”. O la stizza di un giovane sacerdote che di fronte ad alcune proposte sensate del presidente dell’Azione Cattolica diocesana, pretendeva che prevalessero le sue solamente “perché io sono prete!”. Che questo atteggiamento sia comune anche a sacerdoti giovani è molto preoccupante e rivela tutto il male che il Clericalismo continua a fare alla Chiesa, esaltando nei preti la logica del privilegio rispetto a  quella del servizio. Questo provoca talora lo strano e infantile comportamento di alcuni preti che vanno a denunciare ai propri Vescovi i laici che si comportano da persone ragionevoli e non da schiavi, trovando a volte (ahimé!) una sponda amica. Eppure in tutta la mia vita sacerdotale ed episcopale ho potuto rendermi conto di quale ricchezza siano i laici per la vita della Chiesa e di quale libertà, entusiasmo e competenza siano capaci quando vengono coinvolti nell’annuncio del Vangelo e nelle strutture di governo della Chiesa.

Di fronte alla logica asfittica del privilegio presente in alcuni preti, appare come una grande boccata di ossigeno l’affermazione che Papa Francesco fa nel n. 10 della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium resa nota il 19 marzo: “Il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. Essi «sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo». Ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo-missionario «nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù». Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità. La loro presenza e partecipazione è, inoltre, imprescindibile, perché essi cooperano al bene di tutta la Chiesa e, per la loro vita familiare, per la loro conoscenza delle realtà sociali e per la loro fede che li porta a scoprire i cammini di Dio nel mondo, possono apportare validi contributi, soprattutto quando si tratta della promozione della famiglia e del rispetto dei valori della vita e del creato, del Vangelo come fermento delle realtà temporali e del discernimento dei segni dei tempi”.

Tali affermazioni circa la responsabilità di tutti i cristiani nei confronti della Evangelizzazzione e soprattutto il conseguente coinvolgimento di laici e laiche “anche in ruoli di governo e di responsabilità”, anche se ad alcuni appaiono quanto mai sorprendenti, sono  perfettamente in linea con il dettato del Concilio Ecumenico Vaticano II, conclusosi più di mezzo secolo fa.

Spero che tali coraggiose scelte di Papa Francesco abbiano un risvolto pratico anche nella vita delle realtà ecclesiali di base delle nostre zone, dove la mala pianta del clericalismo è ancora florida, dove la figura del prete/privilegiato/duce è ancora vigente, dove stentano a decollare strutture di partecipazione come i Consigli pastorali e i Consigli degli affari economici e dove le scarse occasioni di inserire i laici nelle strutture di governo della Chiesa da molti preti sono solo tollerate e mal sopportate.

Auspico che le decisioni coraggiose di Papa Francesco illuminino le menti di tanti preti e Vescovi che, a parole e in ogni circostanza proclamano fedeltà al Magistero petrino, ma di fatto vivono il loro ministero come se il Concilio non fosse stato celebrato e mostrano ingiustificata ritrosia nell’affidare ai laici posti di responsabilità nelle loro Curie, quasi affermando con il loro atteggiamento compiacente al clericalismo dei preti che quelle nomine non hanno lo stesso rilievo di quelle dei presbiteri.

+ don Valentino

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Sinodo: progettare l’ascolto https://www.memoriafuturo.it/2022/03/02/sinodo-progettare-lascolto/ https://www.memoriafuturo.it/2022/03/02/sinodo-progettare-lascolto/#respond Wed, 02 Mar 2022 19:23:25 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=863 Con l’indizione del Sinodo sulla sinodalità, Papa Francesco invita la Chiesa a mettersi in ascolto perché possa intercettare le domande che la Parola di Dio, ma anche gli uomini e le donne di oggi, credenti e no, pongono alla Comunità cristiana perché torni ad essere strumento di salvezza. Questo invito è particolarmente importate perché la Chiesa (senza volerlo) sembra essere diventata sorda alle istanze degli uomini e delle donne di oggi e procedere con letture della realtà e schemi pastorali desueti che allontanano il Vangelo dalla vita, tarpandole le ali e privandola della possibilità di fiorire.

L’invito all’ascolto si abbina con la frequente condanna del clericalismo, che Papa Francesco talora presenta come una forma di chiusura, di allergia all’altro e di sordità spirituale da parte di coloro che sono stati chiamati nella Chiesa ad esercitare un ministero sacro. Ricordo che quando dopo il Concilio furono istituiti i primi Consigli presbiterali, molti sacerdoti vissero con grande entusiasmo questa opportunità di ascolto e di confronto nella Chiesa, ma ricordo anche la reazione di qualche Vescovo, che attaccandosi al valore “consultivo” di tali dibattiti, li accolse talora col cinismo dell’uomo di potere, che lasciava sfogare i preti, consapevole che alla fine il potere decisionale rimaneva nella sue mani. Mi raccontò un sacerdote che l’Arcivescovo Michele Giordano partecipando ad un infuocato dibattito del Consiglio presbiterale della sua diocesi, ascoltava in silenzio, commentando sottovoce con un anziano sacerdote che gli stava vicino: “Lasciali parlare, tanto alla fine decido io!”.  Purtroppo la stessa scena spesso si è ripetuta nelle parrocchie, da parte dei preti nei confronti dei membri del Consiglio pastorale o degli Affari economici (nei casi in cui sono stati attivati), ma spesso chi è malato di clericalismo considera gli organismi di partecipazione ecclesiale come inutili orpelli, talora vantandosi di farne a meno.

La mentalità clericale crea un grosso equivoco sul valore consultivo degli organismi di partecipazione, che sono tali per affermare che la Chiesa non è una democrazia parlamentare, ma una famiglia, in cui non ci si contrappone o si lotta per affermare il proprio punto di vista o il proprio interesse, ma ci si ascolta nell’amore e nella consapevolezza che ogni persona è un valore e che chi sta a capo è chiamato ad esercitare un ruolo “paterno”, teso non ad affermare la propria volontà, ma ascoltare tutti per fare il bene della famiglia stessa.

Purtroppo il clericalismo riafferma nella Chiesa rapporti di potere e schiaccia la dimensione familiare, che è costitutiva del Popolo di Dio, chiamato ad essere un’umanità nuova sul modello delle relazioni alte presenti nella Trinità.

Eppure è proprio l’ascolto che costruisce la Chiesa. Negli anni del mio episcopato, durante la Visita Pastorale e il Sinodo, la partecipazione ai vari momenti di ascolto programmati ha fatto vivere a me e alla gente meravigliose esperienze ecclesiali. Ricordo con gioia il lavoro dei Gruppi di studio e delle varie Commissioni preparatorie; gli incontri con tutte le associazioni e i gruppi di ogni parrocchia; i Centri di ascolto nella famiglie (ne ho animati più di 120!) in cui la Parola di Dio non serviva solo a istruire, ma educava ad ascoltarci tra noi; le belle celebrazioni comunitarie in cui ogni gruppo presentava la sue riflessioni e le sue preghiere; le nutrite assemblee di Forania (bellissime quelle delle foranie periferiche quali Ailano, Piana di Monte Verna!); le assemblee sinodali generali in Cattedrale…. Un lungo allenamento all’ascolto che ci faceva crescere e ci regalava la gioia di essere una Comunità diocesana, non governata solo da una casta clericale. (A tale riguardo penso con molta tristezza a quanti hanno presentato il Sinodo diocesano come un’operazione calata dall’alto: il clericalismo arriva anche alla menzogna e alla disonestà!).

L’esperienza bellissima, vissuta in questi momenti, mi ha convinto che la dimensione dell’ascolto non la si proclama, ma si programma. E soprattutto occorre individuare i luoghi e i momenti in cui esercitarla. Inoltre, non è possibile viverla in una diocesi in cui la vita ecclesiale è appannaggio di una casta pretesca e non è frutto di decisioni maturate comunitariamente, oppure quando non esistono i Consigli pastorali o quelli degli Affari economici o esistono solo sulla carta. L’ascolto non è una velleità ma un esercizio costante, maturato nelle strutture opportune. Quando queste mancano, domina la mentalità clericale del parroco-duce e il conseguente clericalismo diventa la negazione di una Chiesa che vive come famiglia.

Dobbiamo ringraziare papa Francesco di aver indetto il Sinodo sulla sinodalità ed aver coinvolto tutte le Chiese locali, stimolandole a porsi in ascolto. Mi auguro che da tale scelta ognuno nella Chiesa possa scoprire la gioia di appartenere ad una umanità nuova che il Padre convoca perché sia anima e fermento del mondo. Auspico altresì che, liberandosi dalle pastoie del clericalismo, tanti sacerdoti scoprano la bellezza della propria vocazione. A me la Visita pastorale, la celebrazione del Sinodo diocesano e i vari momenti istituzionali di incontro e di confronto  – facendomi vivere l’esperienza dell’ascolto – hanno fatto capire la mia missione di vescovo. Spero che col Sinodo di Papa Francesco il Signore conceda a tanti questa grazia, che dona vigore e passione alla Chiesa e alimenta nuove speranze per tutti.

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Dove vogliamo arrivare? https://www.memoriafuturo.it/2022/01/15/dove-vogliamo-arrivare/ https://www.memoriafuturo.it/2022/01/15/dove-vogliamo-arrivare/#respond Sat, 15 Jan 2022 10:38:58 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=843 “Dove vogliamo arrivare?” mi chiedeva talora ossessivamente un mio acuto collaboratore del Vicariato ogni volta che proponevo qualche iniziativa pastorale.
Sì, dove vogliamo arrivare? È la domanda che raramente si pongono i miei Confratelli, le cui agende talora sono zeppe di iniziative, spesso inefficaci o limitate al solito uditorio perché vengano avviate senza attenzione alla realtà circostante e allo scopo che si vuole raggiungere o peggio ancora senza individuarne uno. Oserei dire che la logica degli obiettivi è raramente presente nella vita delle nostre comunità, che nonostante tante energie spese, rimangono incapaci di formare i cristiani e di incidere nella vita delle persone che incontrano.

La cosa mi dispiace molto perché tale prassi è fonte di frustrazione per tanti buoni Sacerdoti che talora continuano a moltiplicare celebrazioni liturgiche o devozionali, spesso frequentate solo da persone “confermate in grazia”, che non allargano minimamente l’utenza a tanti che pure avrebbero bisogno di ascoltare la Parola, di pregare e di crescere nella fede per vivere una vita più illuminata e più degna.
Nei miei anni di episcopato, mi sono posto spesso la domanda, concludendo che compito del vescovo non è quello di girare come una trottola per celebrare Messe e Sacramenti, di moltiplicare riunioni estemporanee o di prendere continue e generiche iniziative, ma quello di indicare e condividere (soprattutto con i Sacerdoti, anche se recalcitranti e individualisti) obiettivi pastorali e far convergere tutte le attività ecclesiali, anche le sue, verso quelli.

Partecipando ad un incontro di Vescovi della Campania, rimasi colpito dal fatto che tutti affermavano di avere nelle loro Chiese un Ufficio di Pastorale familiare, che nella mia diocesi non era presente. Mi domandai cosa facessero e cose avrei dovuto fare per attivare questo servizio  pastorale. Mi accorsi però che in molte diocesi esso si riduceva alla presenza di incaricati che di tanto in tanto promuovevano i soliti incontri su temi come l’aborto, la genitorialità responsabile o la preparazione al matrimonio dei fidanzati (tra conferenze teologiche, morali e giuridiche), ma che gli utenti di tali iniziative erano spesso coppie “elette” (e non famiglie “normali”). Ebbi l’impressione che si muovevano senza obiettivi con l’unica soddisfazione di aver fatto qualcosa.

Facendo tesoro della mia esperienza nel Vicariato di Roma (sono stato per 11 anni responsabile del Centro Pastorale per l’Evangelizzazione), dove la Costituzione Apostolica Vicariae potestatis indicava come metodo pastorale ordinario lo studio de “le esigenze religiose della Diocesi di Roma”, la proposta di “iniziative pastorali in ordine all’espletamento dell’ufficio episcopale di magistero, santificazione e governo” e, dopo l’approvazione del Vescovo, “un’accurata realizzazione” (Cfr. n.5), capii che la cosa principale era interrogarsi sulla situazione delle famiglie del territorio e studiare risposte utili per promuoverne la qualità e la dimensione di fede. Nacquero così il Centro Pastorale per la Famiglia “Mons. Angelo Campagna”, il percorso “Dalla religione alla fede” per i genitori dei bambini che chiedevano i Sacramenti per i loro figli e tutta una pastorale mirata a raggiungere obiettivi concreti di evangelizzazione e di promozione umana, rivolte alle famiglie reali della nostra diocesi (e non a coppie “belle e devote”) e una nuova impostazione dei Corsi in preparazione al Matrimonio, legati non solo alla trasmissione della Dottrina Cattolica, ma alla formazione della mentalità di fede, alla preghiera e alla educazione ad un modello di matrimonio che, superando, la visione individualistica ed utilitaristica corrente, mirasse ad educare al “NOI” della famiglia cristiana.

Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa italiana di porsi in cammino sinodale per “vivere la comunione, realizzare la partecipazione, aprirsi alla missione” (Documento preparatorio del Sinodo, 1).  Sento che in molte diocesi italiane il Sinodo non decolla. Taluni accusano le indicazioni del Papa e lo stesso Documento preparatorio di genericità e di astrattezza. Penso invece che questa situazione di stallo dipenda dal fatto che molte diocesi, pur avviando formalmente il Sinodo, non hanno individuato obiettivi e mezzi di attuazione, relativi alla propria realtà. Le finalità proposte dal Papa infatti richiedono alle diocesi di definire obiettivi precisi e di indicare luoghi e tempi di riflessione. Ciò comporta un’analisi seria di come in una diocesi vengono gestiti i momenti e gli organismi di partecipazione parrocchiali e diocesani: gli incontri del Clero, il Consiglio presbiterale, i consigli pastorali, quelli degli Affari economici, la partecipazione dei laici alla vita delle parrocchie (in talune delle quali molto spesso vige una dittatura clericale con l’esclusione completa dei laici ridotti al mero ruolo di esecutori…), la presenza del prete tra la gente… Pertanto, l’invito ad interrogarsi sulla comunione/partecipazione/missione non significa solo esortazione a realizzare un vago “volemose bene” o un entusiasmo fatuo, ma individuare obiettivi concreti da raggiungere in loco e strumenti idonei (tra cui un calendario preciso degli incontri) per realizzarli.

Senza una tale opera di  mediazione delle diocesi, il Sinodo fallisce le sue finalità (e non per colpa del Papa) e diventa un “pour parler”, che non fa crescere la Chiesa, relegandola ancora di più in una pastorale della conservazione che continua a perdere pezzi, fallendo l’obiettivo di una Chiesa missionaria  cioè “fermento e anima del mondo”, che il Magistero continua a indicare come meta, purtroppo senza successo perché manca in molti pastori il coraggio di “osare nella pastorale”, di individuare metodi adeguati, ma talora anche la passione per il Regno e la speranza.

+ don Valentino

 

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Declino del cattolicesimo? https://www.memoriafuturo.it/2021/10/19/declino-del-cattolicesimo/ https://www.memoriafuturo.it/2021/10/19/declino-del-cattolicesimo/#respond Tue, 19 Oct 2021 09:38:57 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=830 “Lasciatele fare, chissà se in futuro avremo persone che le sostituiranno!” mi ha detto il sacrestano di una chiesa in cui stavo per celebrare, rispondendo a qualche mia osservazione insofferente di fronte a certe preghiere lunghe, formali e noiose, recitate in fretta da un gruppetto di anziane signore.

Già, il futuro della Chiesa quale sarà? Sento dappertutto dell’allontanamento dei giovani o di giovani adulti dalla pratica religiosa (a Roma, o in qualche altra città, con qualche bella eccezione che evidenzia ancor più i bisogni spirituali dei giovani e l’inadeguatezza dei nostri metodi pastorali ordinari) e colgo tanta rassegnazione nel contesto ecclesiale. È un dato in palese contrasto con la topografia dei nostri paesi e delle nostre città in cui “troneggiano” dappertutto chiese e campanili….

Questo problema dovrebbe trovare la comunità cristiana non rassegnata, ma fortemente motivata a  recare ai giovani (e non) la proposta di vita di Gesù, che non crea “clienti o proseliti”, ma – per chi la vive consapevolmente – costituisce la grande opportunità di essere uomini autentici, da offrire continuamente agli altri come segno della nostra passione per  un mondo più giusto e fraterno.
E Dio solo sa quanto ce n’è bisogno.

Ma le nostre comunità, che pure avvertono il problema, non si arrovellano più di tanto nel ripensarsi in funzione di un annuncio nuovo e coinvolgente di Gesù Cristo, limitandosi a continuare ad amministrare sacramenti, a far Messe per i defunti, pratiche devozionali stantie, processioni e funerali… per gente che sovente non è più cristiana. Si continua, come dice Papa Francesco, ad “occupare spazi” (illudendosi), evitando di “avviare percorsi”. Talora anche con una sfacciata irresponsabilità, si continua a non negare i Sacramenti a nessuno, a non preoccuparsi della formazione dei cristiani (la qualità delle nostre catechesi parrocchiali è normalmente scadentissima) e a scandalizzarsi di fronte ai giovani o agli adulti che disertano la pratica religiosa o assumono atteggiamenti difformi alla morale cristiana in fatto di eutanasia, unioni civili, fedeltà coniugale, sessualità, accoglienza dei deboli e dei profughi, aborto…
Mi chiedo: se nessuno li ha formati alla fede perché dovrebbero condividere la morale cristiana?

Invece l’apparato ecclesiastico si rivolge ancora alla gente di oggi come se fosse cristiana, ma non lo è. Anche perché nessuno l’ha formata e quelle poche “lezioni” di catechismo ricevute in preparazione ai sacramenti, la partecipazione a qualche processione, Messa o pellegrinaggi, certamente non li ha portati a scegliere Gesù e il suo modello di vita.
La grande religione della gente è l’individualismo che è alternativo al Vangelo e rende indigeste le proposte della fede cristiana, un individualismo che corrompe  e banalizza ogni cosa, anche i Sacramenti.

Di fronte a tale situazione sconsolante, leggo con molta perplessità e dolore il darsi da fare di alcuni Vescovi per l’ambiente, il dialogo ecumenico,  i poveri… , che spesso li rende popolari e apprezzati dall’Alto e dal basso, ma mi domando a chi stanno parlando. E mi auguro che prima di imbarcarsi in tali argomenti si preoccupino  di formare i cristiani, perché se questa non diventa la preoccupazione primaria delle nostre parrocchie e diocesi e tali attenzioni non entrano nelle nostre catechesi, nelle nostre omelie, … in una parola non si inseriscono in un serio itinerario di formazione dei nostri cristiani (carentissimo nella Chiesa di oggi), rimangono mode che nel presente ci procurano qualche attenzione spesso soltanto di alcuni gruppi laici (non ecclesiali), ma che tramonteranno alla prossima svolta della storia e al prossimo cambiar di papa.

Declino del Cattolicesimo? Sì, ma quello che preoccupa è il disorientamento pastorale e le paure di vescovi, preti e cristiani laici. Pensavo a loro mentre la televisione parlava dell’entrata dei talebani a Kabul: come l’esercito afgano sostenuto dai soldi e dalla presenza degli Americani, sembrano un esercito sostenuto da fattori esterni che finora  hanno puntellato la loro sopravvivenza pastorale: educazione religiosa familiare, scuola, tradizioni, società, sostegno economico dei cattolici italiani… ma che, venendo a mancare, fanno prevedere il proprio dissolvimento. Ci sarebbe un’alternativa: la “conversione pastorale” di cui parla papa Francesco, ma è cosa da cristiani (soprattutto preti) autentici, pronti a rinunciare ai privilegi e alle pretese che concede loro il clericalismo e a rimboccarsi le maniche per buttarsi con tutto sé stessi nella grande impresa di “uscire”, ”annunciare”,  “immergere” (battezzare) nella logica di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito (Mt 28,19), l’unica capace di rendere più giusto e fraterno il mondo e di dare un senso all’essere credenti oggi.

+ don Valentino 

In foto: Roma, Parrocchia di San Giovanni Bosco. Catechesi di don Fabio Rosini ai giovani 

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Facebook “robaccia”? Non credo https://www.memoriafuturo.it/2021/10/01/facebook-robaccia-non-credo/ https://www.memoriafuturo.it/2021/10/01/facebook-robaccia-non-credo/#comments Fri, 01 Oct 2021 13:08:06 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=817 Un mio collega un po’ superficiale e disinformato definiva “robaccia” Facebook, probabilmente senza esservi mai entrato.
Io frequento spesso questo spazio virtuale e lo ritengo un utile strumento di incontri e di confronti. Infatti, tramite facebook ho conosciuto tantissime persone e ho ristabilito contatti con altre con le quali, vivendo lontano e avendole perse di vista, non comunicavo  da tanto tempo, addirittura da anni. Bastasse solo questo per dire che il mio collega si sbagliava sonoramente e trinciava giudizi su cose che ignora.
Ho fatto poi delle nuove conoscenze, riportando la positiva impressione che nel mondo (oltre a individui superficiali e a tanti insopportabili moralisti) ci sono tante belle persone desiderose di comunicare, di apprendere, di  riflettere, di testimoniare il bello della vita, di commentare fatti spiacevoli con desiderio di trovare vie di uscita (anche se non sempre condivisibili).

Mi pare si tratti di un’interessante realtà che suscita in me profonde riflessioni su quello che sono e sul mio ministero.
Ho notato così che il mondo della fede costituisce un ambito rilevante, sia nelle critiche che trovo nei confronti della Chiesa, dei preti e dei cristiani, sia nel consenso che ricevono l’azione del Papa, di alcuni vescovi e di molti sacerdoti. Ho scoperto anche che scrivono tanti credenti un po’ bigotti molto interessati a miracoli, apparizioni, manifestazioni sataniche, esorcismi, ma anche altri, un po’ più critici, che esprimono una fede individualistica e “fai da te”, che pensa di fare a meno della Comunità cristiana. Le mie visite su facebook mi hanno fatto scoprire come spesso quanti si professano cristiani facciano poco riferimento a Gesù e al Vangelo, esibendo idee su Dio confuse e negative, piene di paure, rassegnazione e di sensi di colpa, totalmente diverse da quanto Gesù ci rivela di quel Padre celeste, che è “più grande del cuore dell’uomo e conosce ogni cosa”(I Gv 3,20).

Su facebook scrivono anche molti sacerdoti e qualche vescovo. Solitamente non rivelano la propria identità presentandosi con il solo nome e cognome (pensano di essere arcinoti?), anche se, usando facebook come una bacheca degli avvisi parrocchiali o postando foto di celebrazioni e di matrimoni, rivelano la loro “professione”…  Tante volte i miei confratelli riempiono il loro spazio di citazioni e di pensieri devoti o di buon senso, spesso copiati qua e là da autori sacri e profani, che dovrebbe stimolare a riflessioni alte, ma che temo scivolino senza lasciare traccia. Forse sarebbe più bello che manifestassero la loro fede e la loro lettura credente degli eventi, senza “nascondersi” dietro il pensiero di altri. Come pure, raramente entrano  in gioco quando vengono posti dagli utenti facebook problemi attinenti alla fede e alla chiesa, ma anche alla società, al mondo… Paura di essere giudicati, paura di confrontarsi? Penso che facebook offra a noi pastori una bella occasione per dialogare con persone “lontane della Chiesa” e per tradurre in un linguaggio accessibile alla gente le verità di fede, spesso bloccate da formulazioni libresche e inaccessibili.

Facebook “robaccia”? Non credo.
Forse potrebbe far bene anche a qualche prete “colto” che avrebbe bisogno di  sentire di più “l’odore delle pecore” per servire meglio il Popolo di Dio e incarnare il Vangelo nella vita.
Oggi la strada è anche questa.

+ don Valentino

 

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Una chiesa nuova per l’oggi https://www.memoriafuturo.it/2021/06/19/una-chiesa-nuova-per-loggi/ https://www.memoriafuturo.it/2021/06/19/una-chiesa-nuova-per-loggi/#respond Sat, 19 Jun 2021 08:57:03 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=799 Papa Francesco continua a stimolare la Chiesa a rinnovarsi per parlare all’uomo d’oggi. Nella Evangelii Gaudium, documento programmatico di inizio Pontificato, usa al riguardo il termine “conversione pastorale” (EG 27); successivamente a Firenze, in occasione del Convegno Ecclesiale della Chiesa Italiana (2015), ha sollecitato i cattolici del nostro Paese a farsi protagonisti di un nuovo umanesimo; ultimamente ha chiesto che la Chiesa italiana celebri un Sinodo: un grande convenire di consacrati e laici per riproporre il volto autentico della Comunità cristiana alla società contemporanea, sempre meno partecipe della sua vita. Ho cercato di immaginare la Chiesa del futuro.

A tal proposito, mi sono domandato spesso perché la gente 70 anni fa frequentava quasi in massa la Messa festiva e le manifestazioni religiose. Non mi pare fosse motivata dal desiderio di crescere nella comunione e nella fraternità, ponendosi in ascolto della Parola di Dio e spezzando insieme il Pane, ma piuttosto per adempiere un precetto, per non peccare trasgredendolo, per paura dei castighi di Dio, per salvarsi l’anima, per pregare per i defunti…  Si trattava, in genere, di una presenza molto passiva, che per i più mirava a vincere le paure e a “togliersi il pensiero”. Infatti, eccetto a Pasqua, e per obbedire ad un altro precetto, o in occasione di  devozioni come i “primi venerdì del mese”, che promettevano sicuri premi di salvezza a chi li praticava, normalmente all’Eucarestia si accostavano pochi fedeli. Tuttavia i buoni esempi dei sacerdoti e delle famiglie hanno formato generazioni di cristiani.

Ho l’impressione che l’introduzione della lingua volgare nella liturgia abbia poco scalfito quelle motivazioni della partecipazione alla Messa festiva che rimangono identiche, anche se meno cogenti per le nuove generazioni, che pertanto la vivono quasi esclusivamente come occasione per far festa e onorare i defunti.

Eppure i sacerdoti continuano a chiedere ai cristiani la partecipazione ai riti festivi, a colpevolizzare gli inadempienti, a moltiplicare riti cristiani spesso per persone praticamente atee, a servirsi della pietà verso i defunti o delle tradizioni popolari per attirare in Chiesa persone che oggi comprendono sempre meno il significato della Messa, e ancor meno quello dell’Eucarestia… Del resto, crollata la trasmissione della fede in famiglia, le strutture formative ecclesiali risultano sovente improvvisate e desuete, nonostante il grande movimento del rinnovamento della catechesi avviato in Italia dopo il Concilio, l’impegno generoso e competente di molti catechisti e catechiste e la presenza nel tessuto ecclesiale italiano di numerose e valide associazioni laicali dedite alla formazione cristiana. Ho potuto constatare tale preoccupante situazione durante la Visita pastorale nella mia diocesi e nel corso del mio servizio come Delegato per la Catechesi nella Conferenza Episcopale Campana, quando sono venuto a contatto con la catechesi concreta delle nostre parrocchie.

Cosa fare? Alla fine del Vangelo di San Matteo (28,19) Gesù invita gli apostoli ad  “andare”; “ammaestrare tutte le nazioni”; “battezzandole”.
Sono tre movimenti precisi che definiscono l’azione della Chiesa. Ma ho l’impressione che tante nostre realtà ecclesiali obbediscano solo in parte al mandato di Gesù, privilegiando quasi esclusivamente il terzo movimento, quello sacramentale (“battezzandole”), ignorando gli altri due “andate” e “ammaestrate” e presentando pastori che sovente vivono in disparte, alla stregua di funzionari, e si limitano a rari e spesso poco qualificati momenti di annuncio del Vangelo, mentre appaiono preoccupati quasi esclusivamente di celebrare (per pochi) la Messa quotidiana in suffragio dei defunti, ignorando rassegnati le pecore che “non sono di questo ovile”, cioè i figli e nipoti dei nostri fedeli per i quali la Chiesa ha perso quasi ogni significato.

Papa Francesco ci dice di cambiare questa prassi stanca (e ahimè purtroppo comoda!), invitando i pastori ad “andare”, cioè a stare tra la gente (“con l’odore delle pecore”), cioè a girare per la parrocchia inventandosi ogni occasione per essere presente, semplicemente presente, nei luoghi di vita e non soltanto per celebrare riti ufficiali, presentandosi come personaggi importanti sul parterre. Questo modo di fare pastorale, Francesco lo chiama “Chiesa in uscita”: cioè alla gente si va, non la si aspetta in chiesa come funzionario di un ufficio.

E poi, rimane l’obbligo primario di annunciare il Vangelo in ogni modo per far confrontare la gente con l’umanità vera di Gesù e farla crescere. Tale annuncio non può limitarsi a qualche omelia o a qualche incontro con gli “aficionados” delle nostre parrocchie…
Come sarebbe bello se il prete invece di moltiplicare Messe, durante la settimana, avviasse nelle famiglie centri di ascolto del Vangelo! La mia esperienza, condivisa positivamente con alcuni dei miei sacerdoti mi confermava dalla loro stessa voce quanto fosse un momento atteso, accolto, vissuto con profondità dalla gente.
La Messa festiva, allora, diventerebbe il momento felice in cui si incontrano persone che ascoltando la Parola sono diventati più amici e che intorno all’Eucarestia diventano ogni domenica più fratelli.

È un sogno? Io immagino così la Chiesa di domani.
Sono convinto che il Signore stia permettendo la distruzione di un cristianesimo non molto autentico, per costruire una comunità cristiana che si impasti nel mondo come “fermento e anima” e lo faccia crescere in umanità vera, quella che sogna il Padre.

+ don Valentino

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L’acqua se perde e i cani s’arraggiano https://www.memoriafuturo.it/2021/05/21/lacqua-se-perde-e-i-cani-sarraggiano/ https://www.memoriafuturo.it/2021/05/21/lacqua-se-perde-e-i-cani-sarraggiano/#respond Fri, 21 May 2021 14:00:47 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=779 (L’acqua si disperde e i cani soffrono la sete)

 Mi viene spesso in mente questo proverbio, quando penso alla vita di certi preti poco zelanti che, chiamati a recare il Vangelo ai fratelli, non si donano con passione alla missione che il Signore ha loro affidata, limitandosi a gestire la parrocchia come un’ASL del sacro, cioè a fornire servizi religiosi, che spesso la gente non capisce più. Interrogandomi sui motivi di questo spreco della grazia di Dio, sono andato con la mente alla storia della Diocesi in cui sono nato.

Quando Sant’Alfonso divenne vescovo di Sant’Agata dei Goti, in quella piccola diocesi con meno di 40.000 abitanti, c’erano più di 400 preti. Uno ogni 100 abitanti! Mi sono sempre domandato cosa facessero e come vivessero. In molte diocesi italiane, soprattutto del Nord, all’abbondanza di preti corrispondeva il fiorire di Congregazioni religiose e, più tardi, missionarie. Al Sud questa svolta si è avuta in percentuali molto minori. Occorre premettere che moltissimi preti erano ordinati ad titulum patrimonii sui, cioè se provvisti di una dote che permettesse loro di provvedere alle proprie necessità, senza pesare sulla Diocesi. Così molti vivevano in famiglia, senza incarichi pastorali, contribuendo spesso al benessere dei propri parenti. A questo si riferisce il proverbio: Viat’a chella casa addò chierica ce trase (“Beata quella casa dove è presente una chierica”, termine col quale si indicava un dischetto rotondo rasato che fino a qualche decennio fa ornava la nuca dei sacerdoti). Ma mi rimane la curiosità di cosa facesse tutto il giorno una massa così consistente di preti, che in un piccolo paese come il mio, Frasso Telesino (nella metà del 1700 con neppure 2000 abitanti) raggiungeva le 30/40 unità.
Facendo delle ricerche e sentendo i racconti di alcuni anziani (che si riferivano però ad un tempo successivo) ho saputo che c’erano delle esigue minoranze che dedicavano la loro vita allo studio della teologia o delle lettere classiche (di loro si diceva in giro che se un incendio avesse bruciato tutti i vocabolari del mondo, sarebbero stati in grado di ricomporli, a memoria) ma anche all’insegnamento privato, o che aiutavano nella conduzione delle attività di famiglia. Diffusi, erano tra i preti, la caccia e il gioco della carte (mettendo in palio grosse somme e anche qualche proprietà).
Tra l’Unità d’Italia e il Concordato del 1929, molti sacerdoti si dettero alla politica diventando Consiglieri comunali. Pochi si dedicavano alla cura delle anime o ad altre attività connesse con la vita pastorale: solo qualcuno faceva il parroco o il viceparroco, cui era demandata anche la cura dei registri parrocchiali e la cronaca della vita ecclesiale. Uno di questi, don Pietro Fusco, particolarmente esperto e volenteroso, fu poi trasferito a Sant’Agata, dove, con grande pazienza e perizia, ricopiò tutti gli Atti vescovili più recenti raccogliendoli in 28 volumi, detti i “Miscellanei nuovi”.  Molti preti erano Canonici della Collegiata del Corpo di Cristo e tutti partecipavano, con prebenda, ai funerali e celebravano Messa quotidianamente negli altari laterali delle Chiese, di cui alcuni erano titolari per incarico della famiglie che ne avevano il patronato.

Ho l’impressione che questo modello di prete poco impegnato, vigente per secoli in molte diocesi del Sud, ancora serpeggi come un virus nell’inconscio di qualche prete di oggi, prevalentemente dedito alla gestione dei riti sacramentali (anche se talora con un pizzico di creatività effimera), alle esequie e alle devozioni popolari,  e poco abituato ad “osare nella pastorale” come diceva Papa Paolo VI o a operare la “conversione pastorale” auspicata da Papa Francesco. Tale tipo di prete solitamente non apprezza un vescovo che lo spinge verso una pastorale più impegnata e pensata e plaude al pastore che pur promuovendo iniziative altisonanti e interventi all’avanguardia, di fatto lascia  lui e i confratelli “tranquilli”.

Divenuto Vescovo di Alife-Caiazzo, dei 7 preti ordinati dal mio Predecessore, due avevano lasciato il Sacerdozio, uno era tutto preso dai suoi rapporti amicali con la Curia romana, di cui conosceva più Cardinali e Vescovi di me che ero vissuto nella città eterna per più di 50 anni, un altro mi chiese subito se potevo trovargli un posto in Vaticano. Capii anche che gli altri tre, brave persone, difficilmente avrebbero dato un forte contributo a quel rinnovamento della pastorale diocesana che mi aveva raccomandato il mio Predecessore. Ovviamente la Diocesi era poco apprezzata in giro.

Negli anni del mio ministero ho cercato di lavorare molto per alimentare il senso di appartenenza alla Chiesa locale e per rinnovare la prassi pastorale corrente, ancora lontana dal rinnovamento auspicato dal Concilio e sollecitato dalla CEI (in cattedrale, a più di mezzo secolo dal Concilio Vaticano II, non era stato fatto ancora l’adeguamento liturgico e si continuava a celebrare su un modestissimo altare di legno). In questo ho scoperto che i laici sono una grande risorsa, come lo sono stati nel Sinodo diocesano e nel rinnovamento della iniziazione cristiana. Ma su questo slancio rinnovatore ha pesato l’ipoteca del clericalismo di molti sacerdoti, concentrati sul loro potere, poco disponibili a valorizzare i laici e a lavorare con il vescovo per migliorare l’evangelizzazione del territorio. Tuttavia, nonostante queste difficoltà, in parte ataviche, si è riusciti in 5 anni (2013-2018) a fare una lunga visita pastorale e a celebrare un sinodo  che, evento raro in Campania, ha ripensato e ringiovanito una prassi pastorale ordinaria da molto tempo inadeguata alla situazione culturale e alle trasformazioni del territorio.

Cessato il tempo del mio ministero, ho molto apprezzato che il mio Successore riproponesse il Libro del Sinodo come guida pastorale, anche perché voluto ed approvato a larga maggioranza dalle assemblee sinodali, e in sintonia con Papa Francesco che ripropone alla Chiesa italiana un Sinodo nazionale per rinnovare la pastorale e, vincendo la mortifera malattia del clericalismo, per recuperare il laicato, tenuto ancora molto ai margini della vita ecclesiale.

Scopro con tenerezza che proprio alcuni sacerdoti che potrebbero menar vanto di quanto nella loro diocesi è stato fatto e in altre no, davanti al nuovo vescovo prendono le distanze da questa importante e bella esperienza vissuta. Per fare cosa? Non si sa. Spero non per ritornare ad una pastorale stantia, fatta di funerali, Messe per i morti e sacramentalizzazione selvaggia e ad un modello di prete, simile a quello  dei secoli passati, tutto preso dai propri hobbies (quelli sì, aggiornati!), mentre viene disatteso e accantonato quell’annuncio necessario del Vangelo, che è posto nelle loro mani, perché possa essere donato con cura, passione e intelligenza agli uomini ed alle donne del nostro tempo e portare a nuovi traguardi di umanesimo e di civiltà.

+ don Valentino

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Chiamati all’esperienza di Abramo https://www.memoriafuturo.it/2021/03/17/chiamati-allesperienza-di-abramo/ https://www.memoriafuturo.it/2021/03/17/chiamati-allesperienza-di-abramo/#respond Wed, 17 Mar 2021 09:13:38 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=718 Terach, con suo figlio Abram, la moglie Sara e il nipote Lot da Ur dei Caldei si era trasferito con gli armenti e i servi a Carran, nel paese di Canaan. Ma un giorno, il Signore sconvolse la vita tranquilla e benestante del clan, e soprattutto di Abram, intimandogli: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.”. Si trattava di lasciare il certo per l’incerto e di fidarsi della promessa di Dio, ma il libro della Genesi continua: “Abram partì come gli aveva ordinato il Signore” (Gn 12, 1;4).

Ho pensato ad Abramo, dopo essermi battuto fino alla fine perché la nostra Diocesi di Alife-Caiazzo conservasse la propria autonomia.  Condivido pienamente il dispiacere di quanti, sacerdoti e laici, vedono di fatto tramontare un pezzo della propria storia e confluire in “altro” l’identità concreta, sedimentata da secoli, della famiglia ecclesiale in cui sono cresciuti e a cui hanno dedicato le loro energie migliori e il loro entusiasmo. Infatti, anche se formalmente la diocesi di Alife-Caiazzo rimane ancora, l’unione “in persona episcopi” con quella di Teano-Calvi, rappresenta, come ebbe a dire Papa Francesco ai Vescovi Italiani, una tappa verso la completa fusione con altre comunità ecclesiali del territorio in vista della formazione di una Circoscrizione ecclesiastica più grande.

Pensando allo sconvolgimento provocato dalla decisione del Pontefice, in questi anni mi sono chiesto: “Come deve reagire un uomo di fede e una comunità ecclesiale?” e, sulla scorta dell’esperienza di Abramo, riferita dalla Parola di Dio, ho cercato di dare una lettura sapienziale a questi eventi, leggendoli come “segni dei tempi” che ci indicano la volontà del Padre che non toglie la gioia ai suoi figli, ma nella prova li prepara ad accogliere un bene più grande.

Chiamando Abramo, il “padre dei credenti”, a partire da Carran, verso “il paese che io ti indicherò”, e strappandolo dalla sicurezza e dal tepore del suo clan e delle braccia paterne, Dio non lo priva soltanto di qualcosa, ma gli propone una meta più alta: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione” (Ib, 2), più sorprendente della tranquilla vita che fino ad allora aveva immaginato. Ho pensato allora che anche per noi l’atteggiamento da assumere è quello di fidarsi di Dio e di lasciarsi condurre da Lui, che sconvolgendo la nostra piccola storia, ci invita a “prendere il largo” verso una esperienza di fede e di Chiesa, più rispondente alle rapide trasformazioni sociali, culturali e antropologiche, presenti anche nel nostro territorio, che richiedono nuove forme di comunione e di evangelizzazione.
In questa ottica, alla nostra generazione non è chiesto di lamentarsi, di protestare o di vivere di rimpianti e di nostalgie, ma di interrogarsi su dove il Signore vuole condurla e di rendersi disponibile a costruire il nuovo popolo di Dio nelle Terre dell’Alto Casertano, con la gioiosa e confidente consapevolezza di essere stata chiamata a realizzare un disegno più grande, frutto del suo amore fedele per noi.

Guardando all’esperienza di Abramo, dobbiamo quindi avvicinarci a questo progetto, non rinunciando alla nostra storia, ma con l’intento di recare alle Chiese sorelle le ricchezze che il Signore ha fatto fiorire tra noi e di accogliere con rispetto e gratitudine i doni sbocciati nelle altre esperienza di Chiesa, che, attraverso la decisione del Papa, sono chiamate a confluire nell’unica Chiesa dell’Alto Casertano.
Il momento che stiamo vivendo, comune a tante piccole diocesi italiane,  richiede quindi non solo l’obbedienza della fede, ma anche l’impegno responsabile di chi sa che Dio non si sostituisce a noi, ma ci chiama a collaborare per la realizzazione dei suoi progetti di amore, gareggiando nel bene e testimoniando la gioia del Vangelo.
Questo pertanto deve diventare tempo di preghiera intensa, di incontri, di dialogo e di ascolto dei fratelli,  preziosa occasione di unità con il Vescovo, di fervida comunione e di corresponsabilità tra Sacerdoti, Religiosi e laici.

L’esperienza di Abramo ci insegna che solo fidandosi di Dio e camminando insieme  si costruisce un Popolo nuovo.

+ don Valentino

Pubblicato su Clarus n.2 – marzo 2021 

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Fabbricatori di Atei…. https://www.memoriafuturo.it/2021/02/11/fabbricatori-di-atei/ https://www.memoriafuturo.it/2021/02/11/fabbricatori-di-atei/#respond Thu, 11 Feb 2021 16:00:16 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=695 Ricordo una Confessione in una Chiesa di Caserta, quando una mamma piangente mi parlò dell’influsso negativo che esercitava sulla fede dei suoi figli la musica di Pino Daniele. Altre volte, persone pie e anche Sacerdoti, mi hanno parlato dell’influsso diabolico esercitato sui giovani da star internazionali della musica. Lo stesso si sente dire anche di spettacoli, del web e di pubblicazioni di vario genere…
Non è insolito, inoltre, sentir parlare del fascino esercitato da professori, atei o anticlericali, di filosofia o di altre scienze sulle scelte religiose di tanti giovani dei nostri Licei pubblici e delle nostre Università.

Ma non penso che queste siano tra le cause principali dell’attuale rapporto problematico dei giovani con la fede e la Chiesa.
Ritengo si tratti di un tema molto complesso, da non affrontare cercando un capro espiatorio e incolpando una sola persona o una sola agenzia educativa.

L’allontanamento dei giovani dalla Fede, che li porta a forme di ateismo formale o pratico, è un fatto che sta molto a cuore a tanti cristiani e ai Pastori della Chiesa. Quello che preoccupa di più non è tanto la prima forma di ateismo che suppone un soggetto che si interroga ed è comunque frutto di un percorso intellettuale o interiore ponderato, quanto la seconda che porta ad una vita banale senza valori e senza speranze.

Nell’ambito del programma “Ascoltare con il cuore il grido della Città”, la Diocesi di Roma ha avviato una serie di incontri formativi per i membri delle Equipe pastorali parrocchiali, cui è affidato il compito di collaborare con il parroco per realizzare il modello di “Chiesa in uscita”, che ascolta con il cuore la Città, fortemente voluto da papa Francesco.

Si tratta di proposte mensili, di fattura eccellente per tecnica e contenuti, consultabili su NSL Canale 74 del digitale terrestre e in streaming sulla pagina facebook della Diocesi di Roma. Il quarto appuntamento riguarda la pastorale giovanile e quindi il recupero dei giovani “lontani”. Tra i relatori, tutti molto bravi, mi ha interessato in modo particolare don Gianni Carpentieri, un prete romano ideatore dell’Ospedale da campo per i giovani di Roma, che si dedica ad avvicinarli nei luoghi dove abitualmente si incontrano (strade, piazze, locali ecc.), per portare una testimonianza di umanità e di fede. Un’esperienza molto bella, gestita con intelligenza e generosità. Tuttavia, ascoltando la sua descrizione dell’adolescente e del giovane romano tipo e delle sue scelte lontane da una visione di fede e dalla pratica religiosa, mi è venuto subito da pensare che la maggior parte di quei ragazzi è passata per le nostre parrocchie, ha fatto catechismo, ha ricevuto i sacramenti della iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia) che avrebbero dovuto introdurli alla vita cristiana e a farne dei discepoli di Cristo, con un forte senso di appartenenza alla Comunità cristiana e impegnati nella sua costruzione. Ma i risultati normalmente sono molto diversi…

Pensavo allora che forse, insieme ad una “Chiesa in uscita”, bisogna ripensare con coraggio alla “Chiesa”, cioè alla struttura attuale delle nostre comunità  parrocchiali, e domandarci quali sono gli ostacoli che si oppongono alla educazione reale alla fede dei ragazzi e dei fedeli in genere, per evitare che  esse prima creino le premesse perché i ragazzi si allontanino e poi li vadano a cercare. Forse occorre ripensare la nostra pastorale (catechistica, liturgica, caritativa…) e operare delle scelte coraggiose, per non fare dei registri parrocchiali quei libri che contengono nomi di persone che in gran parte non credono più, custoditi da parrocchie che di fatto e certamente senza volerlo rischiano di essere una delle più efficaci agenzie di formazione all’ateismo. Come pure occorre prendere sul serio l’invito di Papa Francesco alla “conversione pastorale”, per non trasformare tanti nostri bravi preti ed operatori laici, che si impegnano con generosità e grandi sacrifici nelle varie attività parrocchiali, (di fatto) in fabbricatori di atei…

+ don Valentino

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