vocazioni – Memoria e Futuro https://www.memoriafuturo.it il tempo è superiore allo spazio Mon, 11 Oct 2021 11:18:47 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.3.17 172263171 La carenza dei preti: problema o risorsa? https://www.memoriafuturo.it/2021/10/11/la-carenza-dei-preti-problema-o-risorsa/ https://www.memoriafuturo.it/2021/10/11/la-carenza-dei-preti-problema-o-risorsa/#respond Mon, 11 Oct 2021 11:18:47 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=825 Perché mancano i preti? Se la vocazione è un dono divino perché in questo tempo il Signore  fa mancare sacerdoti alla sua Chiesa? A queste domande vorrei dare una risposta da credente e non da sociologo. Spesso al problema della carenza di preti leghiamo il futuro della Chiesa, senza pensare che in alcuni territori del Sud del Mondo di preti ce ne sono pochissimi e la Chiesa è viva.

Allora mi domando: che segnale vuole darci il Signore facendo calare il numero dei preti?

Forse ci vuole far capire che siamo una chiesa molto clericale e asfittica che identifica la vita ecclesiale soltanto con i Sacramenti costringendo il sacerdote a girare come una trottola per celebrare una Messa di qua, un funerale di là, un battesimo oltre ancora, con un mazzo di chiavi con le quali chiude e apre edifici sacri che per il resto del tempo rimangono rigidamente interdetti ai fedeli, come se fossero la sua bottega e non un bene di tutti e il luogo dell’incontro con il Signore…

Forse ci vuole dire che la Chiesa vive non soltanto per i Sacramenti, ma anche per l’Annuncio del Vangelo, la preghiera e il servizio fraterno e che bisogna valorizzare i tanti ministri ordinati che non servono solo a fare corona al Sacerdote che celebra e a dare solennità ai riti, ma potrebbero essere grandi opportunità per far vivere la Chiesa… Il Concilio aveva parlato di una “Chiesa tutta ministeriale”, ma questo è rimasto uno slogan senza conseguenze pratiche.

La carenza di preti forse ci vuol dire che dobbiamo operare una “conversione pastorale” che ridoni alla Chiesa quella bellezza che clericalismo e sacramentalizzazione selvaggia gli hanno rubato.

Bisogna innanzitutto dire che il prete non è la Chiesa e che la cosa più importante è la Comunità cristiana. Allora, pensando alla Diocesi di cui sono stato Vescovo e alle parrocchie di tanti piccoli Comuni Italiani, io immagino delle piccole Comunità cristiane  senza il prete a tempo pieno che:

  1. hanno un incaricato volontario che tiene sempre aperta la chiesa, dove la gente può andare a pregare o a raccogliersi quando vuole;
  2. dove in certi momenti della giornata un gruppo di persone si reca insieme a recitare il Rosario, ad adorare il Sacramento, ad ascoltare la Parola di Dio e ricevere la Comunione da un Accolito o da in Ministro straordinario dell’Eucarestia:
  3. dove, nei locali parrocchiali, un catechista prepara i bambini o i giovani ai sacramenti;
  4. dove vivono l‘Azione cattolica e le Associazioni ecclesiali;
  5. dove ministri straordinari della Comunione visitano i malati e portano l’Eucarestia;
  6. dove qualcuno si prende cura dei poveri;
  7. dove un gruppo di laici si preoccupa dell’amministrazione e della manutenzione dell’edificio sacro e organizza iniziative ludiche e culturali intorno alla Parrocchia.

La domenica o in altro giorno concordato arriverebbe il Sacerdote per celebrare la Messa o amministrare i Sacramenti. Questo sistema salverebbe la Comunità e farebbe sì che il Sacerdote quando arriva non si trovi davanti dei clienti sconosciuti che domandano servizi sacri, ma una Comunità che vive e che, quando è possibile la presenza del Sacerdote, celebra i Sacramenti. Legare tutto alla presenza non stabile del Sacerdote distrugge la Comunità cristiana e riduce i fedeli in clienti (spesso senza fede) a caccia di cerimonie religiose.

Ci sono pochi preti? Mi verrebbe da dire: “Meglio così!” Se questo significa la fine del clericalismo, la valorizzazione vera e non solo coreografica dei ministri ordinati (Lettori, Accoliti, Diaconi, Catechisti…) e la nascita di Comunità cristiane nelle quali il Sacerdote esercita il suo dono specifico per un Popolo di Dio concreto  e non diventa il “bottegaio” della situazione.

+ don Valentino

 

 

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La prova del nove https://www.memoriafuturo.it/2021/01/15/la-prova-del-nove/ https://www.memoriafuturo.it/2021/01/15/la-prova-del-nove/#respond Fri, 15 Jan 2021 16:21:23 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=669 La terza età, si sa, è tempo di bilanci. Anche a chi scrive, viene spontaneo fare valutazioni sulla propria vita sacerdotale, nella consapevolezza sempre più lucida che l’esistenza è un grande dono, ma è anche un segmento breve che ha un inizio e una fine, cui ci si deve preparare con la serenità di chi sa che non si va verso il nulla ma verso un incontro, un abbraccio, quello del Signore.

Qualche giorno fa mi domandavo quale potesse essere per un prete la prova del nove della riuscita della sua missione e mi venivano in mente tante cose, ma soprattutto la frase che mi disse un vecchio e santo prete quando io ero ancora un ragazzo: “Sono contento perché dal mio sacerdozio il Signore ha fatto nascere altri due ministri dell’Altare, cui potrò consegnare il mio calce quando il Signore mi chiamerà a sé”.

Effettivamente penso che per un sacerdote la cosa più bella sia quella di lasciare il suo posto ad un altro che il Signore ha chiamato al Sacerdozio per la sua preghiera, il suo esempio e per averlo contagiato con la sua passione per il Vangelo. Spesso rifletto che se nel mio paese non ci fosse stato un parroco come don Alfredo D’Addio, che da giovane prete aveva mandato in Seminario una trentina di ragazzi, suscitando tra i fedeli grande sensibilizzazione ed impegno per le vocazioni e il Seminario, forse la mia vicenda umana sarebbe stata diversa. Di questi ragazzi tutti lasciarono il Seminario, ma la pastorale vocazionale è come un seme gettato che produce frutto quando il Signore vuole. Infatti soltanto dopo che lui lasciò Frasso e la Parrocchia di Santa Giuliana, nel giro di alcuni anni 3 giovani frassesi furono ordinati preti (cui seguirono successivamente altri due). Nel clima così sensibilizzato alla preghiera per le vocazioni, sempre a Frasso, ma nella mia parrocchia del Carmine (l’altra parrocchia del paese), arrivò un nuovo sacerdote, don Callisto Lapalorcia, che fece scattare in me la scintilla della vocazione. Prego ancora con tanto affetto e riconoscenza per questi due sacerdoti senza i quali forse non avrei fatto questa scelta di vita e continuo a pensare con ammirazione ai preti della mia diocesi di origine, Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti, dove ne ho conosciuto tanti zelanti per le vocazioni, preoccupati di “consegnare il loro calice”, non per gloriarsi, ma come un fatto naturale derivante dal loro ministero e da una paternità sacerdotale fortemente vissuta e preoccupata di garantire il dono del sacerdozio alle generazioni future. Qualche anno fa mi capitò di partecipare ad un evento liturgico in una piccola parrocchia di quella Diocesi. Mentre aspettavamo il Vescovo, mi commossi vedendo il vecchio parroco che parlava dei suoi ministranti, confidandoci la sua speranza che uno di loro entrasse in Seminario. Anche in altre diocesi ho trovato preti così, capaci di curare giovani, di contagiarli con il proprio entusiasmo e aiutarli a capire la chiamata speciale del Signore al Sacerdozio. Si tratta di preti buoni, zelanti, umili che sono la ricchezza della Chiesa e delle nostre Comunità. Ed è bello sentirne parlare con affetto da parte di preti giovani, che devono a loro, oltre che al Signore, la propria scelta.

È triste invece venire in contatto con alcuni preti che di fronte al problema delle vocazioni sacerdotali si pongono o con l’indifferenza di chi pensa che la cosa non li riguardi, o con l’illusione che di fronte alla carenza di vocazioni si provvederà importando preti dal terzo mondo, o con la presunzione di risolvere il problema vocazionale partecipando a mille convegni di esperti, facendo analisi “dotte” o pensando che la brillantezza o la magia del prete influencer basti a condurre qualche giovane alla scelta del sacerdozio. Ha causato sempre in me particolare sofferenza l’atteggiamento duro ed eccessivamente esigente di taluni preti mediocri nei confronti di giovani da ammettere al Sacerdozio, come pure la sfiducia nel sacerdozio, e quindi l’abbandono del Seminario da parte di giovani disillusi e scoraggiati di fronte al cattivo comportamento di qualche sacerdote o addirittura di qualche educatore del Seminario.  In questi contesti poco attenti al problema vocazionale ho visto spesso che a fronte della scarsità di seminaristi diocesani, nascevano vocazioni religiose (e meno male!), che ovviamente lasciavano il territorio. Perché il Signore chiama e sovente la carenza di candidati al Sacerdozio dipende dalla mancanza della preghiera e dello zelo di pastori, incapaci di intercettare quel dono e aiutarne il discernimento.

Da prete che ormai ha superato da qualche anno il mezzo secolo di ministero, mi convinco sempre più che la vocazione è soltanto un dono divino. Durante la Visita pastorale nella Diocesi di Alife-Caiazzo spesso i ragazzi mi chiedevano perché fossi diventato sacerdote. La mia risposta era sempre la stessa: “Non lo so. Il Signore mi ha messo questo desiderio nel cuore”.
Nella mia esperienza ho constatato che la vocazione sacerdotale è un fatto straordinario, di provenienza non umana, che puoi contrastare, cercare di annullare…, ma se è autentico in qualche modo rispunterà sempre. Quando ero vice-parroco a san Luca, c’era un bambino che mi disse che voleva diventare Sacerdote. Era convintissimo e mi fece parlare anche con i genitori che si opposero alla cosa per la giovane età del figlio. Passarono degli anni, io lasciai San Luca e fui chiamato in Vicariato, abitando nel Collegio Santa Maria, dove Andrea (si chiama così) frequentava il Liceo. Ci vedevamo quasi quotidianamente nel cortile e ci salutavamo con affetto, senz’alcun riferimento a quel lontano episodio. Ma un giorno, prima della maturità, mi chiese di parlare. Iniziò cosi: “Don Valentino, ti ricordi di quel discorso avviato qualche anno fa? Ecco adesso sono pronto per entrare in Seminario. Mi accompagni? Mi presenti al Rettore?”. Andrea oggi è un bravo prete di Roma.
Con lui entrò poi in Seminario anche un altro ragazzo di San Luca, Valerio. Da bambino lo chiamavo “il teologo” perché, a differenza dei suoi coetanei, che intervenivano con risposte talora imprecise, lui rispondeva sempre con lucidità e chiarezza durante le omelie dialogate. Anch’egli oggi è parroco di una Chiesa romana di periferia.

La sensazione di stare davanti all’opera del Signore l’ho provata anche da Vescovo ogni qualvolta un ragazzo mi ha chiesto di entrare in Seminario. Si, la vocazione è soltanto un dono divino, ma per emergere ha bisogno di preghiere, di esempi e di “scintille”, che la rivelano e l’accendono e che in gran parte dipendono dallo zelo e dalla vita santa dei sacerdoti che si incontrano e sono sensibili ad una pastorale vocazionale umile e feriale, frutto di una persona felice di essere prete. Passare il calice in altre mani che continueranno a celebrare l’Eucarestia, è la prova del nove di un ministero sacerdotale riuscito. So anche che ci possono essere tante circostanze per cui un miracolo del genere non avviene subito o addirittura nel corso di una vita, ma un prete che ama il Signore getta sempre semi che prima o poi spunteranno e fioriranno.

+ don Valentino

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Perché Lui, passa e chiama… https://www.memoriafuturo.it/2020/05/03/perche-lui-passa-e-chiama-2/ https://www.memoriafuturo.it/2020/05/03/perche-lui-passa-e-chiama-2/#comments Sun, 03 May 2020 06:19:38 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=327 Oggi la Chiesa celebra la 57ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che ha come tema “Datevi al meglio della vita!” richiamando l’esortazione di Papa Francesco Christus vivit.
Non è una occasione per progettare campagne di ingaggi per giovani e ragazze da avviare al Seminario o alla vita religiosa. La fede autentica, ci ricorda spesso Papa Francesco, non può convivere con il proselitismo, ma chiede altro.

Oggi, allora, è un giorno per stupirsi, per meravigliarsi dell’amore di Dio che chiama alcuni suoi figli a testimoniare la bellezza della vita, facendone un pane buono per i fratelli. Come Gesù.

Questa giornata non ha bisogno di organigrammi o di trovate da circo, ma di sguardi trasparenti di bambini, di ascolto e di domande serie di fronte al mistero di Dio e dell’uomo, quello che la Parola ci rivela.

“Perché ti sei fatto prete?” mi hanno chiesto in tutti i gruppi incontrati nella Visita pastorale i bambini ed i ragazzi della mia diocesi. “Non lo so!” ho risposto tutte le volte, perché la vocazione non è una scelta che si programma, ma qualcosa che senti forte dentro e capisci che viene dal Signore. Nella mia famiglia, mai nessuno era diventato prete prima di me. Eppure sin da piccolo ho sentito un trasporto grande per la vita sacerdotale, che si è concretizzato al contatto di preti e laici semplici, ma appassionati e pieni di fede.

Così più di una volta sono rimasto senza parole, quando da sacerdote e da vescovo qualche ragazzo normale con belle prospettive umane davanti, mi ha contattato per dirmi “Voglio entrare i Seminario per diventare prete!”. Mi sono interrogato sempre sul perché di quella scelta ed ogni volta tornando al piccolo Valentino che sin da bambino diceva che voleva diventare prete ho concluso: “Anche stavolta, è passato Lui  ed ha chiamato!”.

La vocazione è questo mistero che stupisce e che chiede fede, preghiera ed attitudine all’ascolto e al dialogo. Quando questo c’è, il Signore passa e chiama. Ci possiamo giurare. Rimango perciò perplesso di fronte alle statistiche  sul numero della vocazioni o alle geremiadi di qualcuno, accompagnate da previsioni tragiche, come se la Chiesa fosse degli uomini e non di Dio. Come se l’evangelizzazione fosse innanzitutto opera della Chiesa e non piuttosto iniziativa del Padre, del Figlio e dello Spirito santo e il cammino del riscatto della bellezza della umanità fosse affidato soltanto a poveri uomini, anche se buoni e santi.

Quindi, se la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata è un dono che viene dall’Alto, può abbracciarla solo chi è capace di stupirsi, ama intrattenersi con il Signore ed è pronto a mettere sempre il “noi” prima dell”io”, felice quando fa felici gli altri. Prima ancora, chi sa appassionarsi come Gesù  ai progetti grandi del Padre (senza riserve e angolini oscuri) e considerare la propria esistenza un  pane buono e fragrante per tutti.

La Giornata di preghiera per le vocazioni è anche l’occasione per stare vicino ai nostri sacerdoti e per pregare loro. La vita del sacerdote è bella se si dona interamente e se non nasconde o accumula il pane buono della sua vita per sé, con rischio di farlo ammuffire. Perché, come diceva un famoso vescovo ausiliare di New York: “Il prete è un uomo mangiato”. Sempre!  In questa giornata chiediamo al Signore che renda “pane fragrante” quanti ha chiamato a diventare sacerdoti, servi come Lui e dispensatori di quel pane eucaristico che è modello di vita per i cristiani.

+ don Valentino

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La lezione di “Don Matteo” https://www.memoriafuturo.it/2020/03/22/la-lezione-di-don-matteo/ https://www.memoriafuturo.it/2020/03/22/la-lezione-di-don-matteo/#comments Sun, 22 Mar 2020 19:18:34 +0000 https://www.memoriafuturo.it/?p=200 “Questo mi fa venire la voglia di diventare prete!” ha commentato qualcuno dopo l’ultima puntata di Don Matteo, vista da 7,4 milioni di telespettatori con uno share del 26,5%. I dati positivi e l’interesse che suscita da sempre questo programma televisivo, dipendono certamente dalla trama e dalla bravura degli attori. Ma è pur vero che la figura dominante della storia è un prete che dopo 12 edizioni provoca ancora la simpatia di una larghissima fascia di telespettatori italiani.
Non poco, in un tempo di crisi vocazionale e di appannamento della missione sacerdotale nella società. Eppure colpisce che il prete in oggetto è un personaggio tradizionale, che indossa la talare e obbedisce al Vescovo. Soprattutto risponde ad una caratteristica peculiare del prete italiano: quella di stare tra la gente, sempre, di essere di casa, che paradossalmente dà alla sua figura un alone di modernità e di gradevolezza.
Altre caratteristiche che lo rendono vicino sono la sua povertà; la fedeltà autentica, ma non bigotta al celibato; la capacità di accoglienza verso persone in difficoltà; la sua qualità di annunciare il Vangelo non con dovizia di parole e di dottrine o con trovate spettacolari, ma discretamente, al momento giusto, con espressioni che parlano al cuore, perché nascono dal cuore, dal proprio vissuto.
Parole che non stupiscono, ma fanno pensare e danno speranza.
La cosa bella, presente in tutte le puntate, ma che viene rivelata alla fine dell’ultima serie è che lui sceglie la sua gente, sempre, anche di fronte a proposte lusinghiere. Mi sono domandato: il successo di don Matteo nasce dalla nostalgia della gente per un certo tipo di prete, per certe caratteristiche non più così evidenti?

Mi sono interrogato a lungo su queste considerazioni, soprattutto in un tempo in cui il problema della carenza di vocazioni si fa drammatico, specialmente nei paesi di antica cristianizzazione. Le soluzioni proposte appaiono sempre più deboli, rischiose e presumibilmente inefficaci, e si moltiplicano fino all’inverosimile Convegni di pastorale vocazionale, organizzati spesso da sacerdoti “esperti”, la cui vita forse non ha fatto venire a nessuno la voglia di farsi prete. Si sa, la vocazione sacerdotale è un mistero e un dono divino, ma è anche vero che solitamente si rivela nel confronto con modelli già realizzati, com’è avvenuto a tutti quelli che hanno scelto di diventare preti. Ma allora, il gap dov’è?

Facendo il confronto tra preti di ieri e di oggi da me conosciuti, ho l’impressione che negli ultimi tempi ci sia stata una “funzionarizzazione” del ministero sacerdotale, che, insieme a una lettura troppo negativa della “modernità” e a certa riproposta del rigore morale e dell’ortodossia dottrinale, ha snaturato la figura del prete.  Cioè, questi, in molti casi è visto dalla gente come un custode di regole rigide e di dottrine astratte e un “prestatore di servizi religiosi”, più che come un uomo di Dio e un padre spirituale accogliente.
La cosa più preoccupante è che anche molti preti sono entrati in questo ruolo. Questo nuovo modo di concepire il proprio ministero li porta a vivere poco nel territorio parrocchiale, a non abitare in canonica (che per un prete è segno di maturità e di povertà), ad essere impegnati in altre mansioni di curia o addirittura civili, che li portano spesso lontano dalla propria gente, talora a conseguire titoli di studio per crescere in cultura e prestigio, ad accettare impegni fuori parrocchia… Cioè, sempre più spesso l’essere parroco appare a tanti come un “secondo lavoro”, che crea il modello del prete “sempre impegnato” e poco disponibile per i fedeli, anche se in tanti casi il suo servizio alla gente si riduce alla celebrazione della Messa quotidiana.
Questo modello lo porta ad “aspettare la gente” e non ad “andare verso la gente”. Dinamica che in parte avviene anche perché le condizioni e lo stile di vita delle persone sono cambiati e certe forme di pastorale appaiono superate.
Tuttavia, di fronte a tale situazione il prete, che abbandona forme di devozione e di pastorale tradizionali in nome di un cristianesimo più moderno (ma sarà vero? Talora certe forme di iconoclastia pastorale non sembra nascano da zelo, ma da pigrizia), non appare sempre preoccupato di trovare nuovi modi per andare verso la gente, ma si ferma ad aspettarla quando viene a chiedere servizi e quindi ad avere poco da fare. Penso che si riferisca a questa situazione Papa Francesco quando esorta ad una “Chiesa in uscita”.
Tutta questa problematica fa sì che il prete smarrisca sempre di più il senso della sua utilità in un mondo secolarizzato in cui la Chiesa ha perso spazi da occupare e potere.
Purtroppo ho l’impressione che certe soluzioni “avveniristiche” di “unità pastorali” nascano spesso da questa insignificanza e riduzione del ministero sacerdotale, oltre che dalla mancanza di sacerdoti.

Durante il mio ministero episcopale dovetti trasferire un giovane parroco che si lamentava della poca partecipazione della gente alla vita della parrocchia e soprattutto ai Sacramenti e quindi della inutilità della propria presenza in loco. Non avendo altre possibilità, lo sostituii con un sacerdote ottantenne che aveva lasciato la parrocchia per raggiunti limiti di età… Dopo un po’, vidi che quella parrocchia era rifiorita e che il “nuovo” parroco  era impegnatissimo e richiesto dalla gente: stava al chiodo, era sempre disponibile, svolgeva diligentemente la sua missione, era sempre presente, visitava gli ammalati, lo si vedeva pregare in Chiesa…

In questa situazione, mi sembra stia nascendo un modello di prete meno “funzionario” e più missionario: quello dei Movimenti. Non mi si può accusare di essere un loro ammiratore fanatico, anzi!  E vedo anche nello stile dei sacerdoti dei movimenti una eccessiva riduzione del termine “comunità” alla loro realtà, e un senso debole e formale di appartenenza alla Diocesi e del ruolo del Vescovo, come pure uno scarso apprezzamento della “diocesanità”. Né ritengo, come una volta sentii sostenere dal carissimo Card. Ugo Poletti, che ai preti delle Parrocchie è affidato il compito della conservazione della pratica religiosa e a quelli dei Movimenti l’evangelizzazione. Sono convinto che una Parrocchia così non abbia motivo di esistere e penso che proprio a partire dalla Evangelizzazione e dalla costruzione della Comunione, questa benemerita struttura pastorale abbia ancora senso. Tuttavia, rimasi perplesso di fronte all’atteggiamento di un mio prete diocesano che vedeva come una grande conquista il fatto che in diocesi non ci fossero Movimenti, soprattutto perché ebbi l’impressione che le sue motivazioni nascessero dalla difesa di un certo potere clericale e dalla voglia di evitare “la concorrenza” che lo avrebbe costretto a confrontarsi sul territorio con esperienze nuove di fede e forse a mettere in discussione  e a rinnovare il proprio modo di gestire e animare la parrocchia.
Pur conoscendo i limiti di certe esperienze ecclesiali e credendo nel valore della parrocchia (un prete dei Movimenti disse una volta di me che ero “fissato per la Parrocchia”), ritengo che proprio nei Movimenti e nei sacerdoti che vi fanno parte siano presenti delle caratteristiche che mancano a molti nostri diocesani: la missionarietà, il senso della comunità,  la comunione fraterna, l’attenzione alle povertà e ai cambiamenti presenti nella società, la rivalutazione del ruolo dei laici…

Penso che proprio a questo sia dovuto il fatto che moltissimi giovani che oggi entrano in Seminario provengano da un’esperienza movimentista, mentre si va assottigliando il numero, prima assolutamente prevalente, di giovani provenienti da comuni esperienze parrocchiali. Da cosa dipende ciò? Qualcuno fa notare che la scelta dei primi sia più emozionale e quella dei secondi più matura e motivata; oppure che i preti provenienti dai movimenti hanno una visione più parziale della Chiesa legata alla loro esperienza e gli altri una visione più globale ed “ecumenica”…
Motivazioni che hanno il loro interesse e il loro valore…
Ritengo comunque che una mentalità più inclusiva, una ecclesiologia più fedele al Magistero conciliare, una maggiore attenzione ai mutamenti culturali ed un motivato ripensamento delle strutture ecclesiali, anche se impongono impegno e fatica, possano giovare non poco all’annuncio del Vangelo nel nostro tempo e alla presenza di una Chiesa viva e appassionata di Cristo, capace di offrire qualità alla convivenza sociale e di promuovere la dignità della vita umana.
Don Matteo docet…

 

 

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