Alife-Caiazzo: verso quale futuro?

Papa Francesco sin dal primo incontro con i Vescovi italiani (Basilica di s. Pietro, 23 maggio 2013) affermò che in Italia ci sono troppe diocesi e che il loro numero andava ridotto. Anche se per chi ama la propria chiesa locale e per essa ha lavorato e si è appassionato, le intenzioni manifestate in quella sede rappresentano una prospettiva molto dolorosa, come cristiani sappiamo che al Papa si obbedisce sempre, nella fiducia che attraverso le sue decisioni lo Spirito ci conduce verso un “oltre” che non immaginiamo e che, alla fine, si potrà rivelare un bene più grande. Chi scrive ha dovuto fare un lungo percorso interiore al riguardo: dopo avere in tutti i modi, cercato di allontanare dalla diocesi di Alife-Caiazzo, già ferita e penalizzata da esperienze passate, questa eventualità, anche incontrando personalmente il Papa e parlandogli con franchezza (udienza privata, 26 maggio 2018), alla fine si è messo nella logica dell’obbedienza ed ha cercato con i Confratelli vescovi di ipotizzare la soluzione che meglio avrebbe continuato a garantire la presenza viva della Chiesa nell’Alto Casertano.

Tale ipotesi, che con la nomina dell’Amministratore Apostolico di Alife-Caiazzo sembra stia trovando un primo avvio, lungi dal condurre gli interessati a “leccarsi le piaghe” o a perdersi in inutili trame e congetture, deve portare ciascuno ad interrogarsi sulla propria responsabilità e su quanto è necessario fare per non subire rassegnati le decisioni del Papa, ma per collaborare a costruire l’avvenire della Chiesa nel territorio.

Purtroppo, la situazione di stand bay in attesa del futuro, le diocesi di Alife e di Caiazzo l’hanno già vissuta negli anni sessanta e settanta. Furono unite a realtà molto più grandi e messe nelle mani di Amministratori Apostolici che diedero l’impressione di considerarle come trascurabili appendici delle loro circoscrizioni ecclesiastiche: Mons. Vito Roberti, Arcivescovo-Vescovo di Caserta e Amministratore Apostolico di Alife, diceva che quest’ultima era “la sua Svizzera”, quasi intendendola come la dimora della vacanze da dove si prendono i mobili migliori e si portano quelli inutili, e anche Caiazzo sembra fosse sentita da Mons. Tommaso Leonetti, Arcivescovo di Capua e Amministratore Apostolico di Caiazzo, come una specie di “territorio d’oltremare”, da dove portar via le risorse più preziose e dove mandare il personale che non era possibile sistemare in patria. Di fronte a tali comportamenti, come reagirono il Clero e la gente delle due Diocesi? Esaminando le testimonianze scritte o orali, pare che, salvo in rari casi, la risposta prevalente (almeno inizialmente) fosse quella delle lamentele, della rassegnazione, dell’isolarsi nella difesa miope dei propri “fortini”, o, in qualche caso, del cercare di trarre vantaggi personali dalla nuova situazione. In particolare, mentre il clero di Alife sembrò vivere qualche fremito di dignità, salvando parzialmente l’identità e la tradizione religiosa del territorio, quello di Caiazzo, in gran parte anziano e meno omogeneo, pur con qualche lodevole eccezione, si isolò ulteriormente diventando quasi impermeabile al rinnovamento conciliare e, assumendo poi l’atteggiamento dei vinti, lasciò disperdere un notevole patrimonio spirituale e culturale accumulato da generazioni di bravi vescovi e preti (vedi, ad esempio, la vicenda delle pergamene medievali, abbandonate in una soffitta e finite all’Archivio di Stato di Napoli).

Questo modo di fare ha nociuto gravemente alla presenza della Chiesa nel territorio. Al riguardo, appare sempre più degno di ammirazione e di gratitudine il compianto Mons. Angelo Campagna, che quando nel 1978, dopo il periodo delle Amministrazioni Apostoliche, fu nominato vescovo di Alife e di Caiazzo, trovò non due diocesi da “fondere” in una (come avveniva per esempio per le confinanti diocesi di Telese-Cerreto Sannita e sant’Agata dei Goti, funzionanti “fino al giorno prima”), ma due “tronconi” da rendere una sola Chiesa, con tutti gli enormi problemi che questo comportò. Pastore zelante e pio, egli, contando su qualche prete alifano più vivace e sull’Azione Cattolica (che rese quasi subito unitaria, avvalendosi di laici preparati e della lunga tradizione di impegno, particolarmente viva nella diocesi di Caiazzo che il vescovo Di Girolamo aveva amato e sostenuto), si immerse con entusiasmo in questa impresa impossibile, ma la situazione oggettiva e la sua malferma salute non gli permisero di raggiungere risultati duraturi e di impedire che certe ferite si prolungassero nel tempo.

Proprio alla luce di questa dolorosa vicenda, la recente nomina di un Amministratore Apostolico in vista di una probabile ulteriore fusione, pone a chi ama la Chiesa alifano-caiatina gravi scelte di responsabilità.

Dopo il grande lavoro di “rifondazione” fatto negli ultimi anni, la diocesi di Alife-Caiazzo può vantarsi di aver conseguito ragguardevoli livelli di normalità e in qualche caso di aver raggiunto traguardi pastorali che non hanno nulla da invidiare a molte diocesi della Regione, che in qualche momento hanno fatto riferimento proprio al progetto che il suo Ufficio catechistico stava portando avanti in ottemperanza al documento “Cristiani per scelta” del vescovi della Campania (2016). Quindi, non arriva alla confluenza con altre realtà diocesane con il “cappello in mano”, né con il disorientamento di chi è stato improvvisamente spogliato della propria identità, come negli anni sessanta/settanta. Questa è la consapevolezza da cui partire.

In questo momento di passaggio, pertanto, non occorre assumere l’atteggiamento di “sciogliere le righe”, affidandosi a chi amministra la diocesi come “fedeli senza qualità”, che qualcuno dovrà plasmare come creta informe, o dando libero sfogo a dannosi quanto inconcludenti, vieti e stucchevoli personalismi che non rappresentano la realtà diocesana. Occorre invece continuare a portare avanti quelle conquiste e quelle scelte che finalmente hanno fatto della diocesi una chiesa dal profilo definito, con l’ambizione di arrivare ad un confronto con altre realtà regalando ad esse le ricchezze acquisite in questi ultimi anni, con la disponibilità ad accogliere i doni che lo Spirito ha suscitato in esse.

La Diocesi di Alife-Caiazzo, infatti, ha vissuto una Visita pastorale accurata che, evitando vuoti momenti formali (come le visite alla Casa comunale, ai Carabinieri, etc.), si è preoccupata di suscitare ovunque la consapevolezza di essere un’unica Chiesa, attraverso una intensa preparazione foraniale, l’incontro (a tappeto) del Vescovo con i singoli gruppi ecclesiali e le realtà vitali presenti nel territorio parrocchiale (scuole, malati, associazioni), la preghiera e l’esperienza dell’ascolto della Parola di Dio nelle famiglie (Centri di ascolto, ben 120!). Inoltre, si è data una più trasparente struttura amministrativa e nuove Norme per l’iniziazione cristiana, che hanno finalmente coinvolto anche le famiglie e il mondo degli adolescenti, dando avvio ad una pastorale giovanile non di élite; ha ristrutturato la Curia, non sulla base di teorie avveniristiche, per renderla operativa, efficiente e capace di suscitare il protagonismo degli uffici e di perseguire obiettivi pastorali concreti; ha cercato di accreditarsi presso il mondo laico non soltanto a livello formale e apicale, ma avviando strutture feriali di collegamento e di servizio con il territorio come Clarus, la Biblioteca Diocesana, l’Archivio storico, il Centro diocesano per la Famiglia. C’è stata poi la celebrazione del Primo Sinodo Diocesano – esperienza bellissima di Chiesa! – in cui Vescovo, Clero e Laici hanno definito identità, scelte, sogni e speranze della Chiesa alifano-caiatina.

È con tale consapevolezza che la Diocesi di Alife-Caiazzo deve affrontare la probabile stagione della “fusione”, auspicando che le Chiese sorelle, chiamate a realizzare lo stesso progetto si pongano di fronte ad esso con atteggiamento evangelicamente positivo, sentendosi protagonisti attivi e rifuggendo inutili forme di sciovinismo, pretese di supremazia e atteggiamenti passivi che rischierebbero di renderlo una operazione burocratica e subita.

Se si assumerà tale atteggiamento penso che alla fine del cammino ci si troverà in una realtà più grande e più bella, forse anche più adeguata ai tempi e più pronta a servire l’avvento del Regno nel nostro Territorio. A ciascuno il compito di lasciarsi guidare dalla Spirito per non ambire né al ruolo del conquistador, né a quello di rottame. La storia ci ha fatto conoscere i danni che hanno fatto i conquistadores, ma ci fa anche capire che con i rottami non si costruisce una casa, ma solo un mucchio di macerie.

Commenti

  1. Enzo

    Eccellenza, in questo momento storico, purtroppo, la Diocesi di Alife-Caiazzo è effettivamente relegata a una sorta di feudo un po’ abbandonato a sé stesso. E si sente pesantemente la mancanza di una guida pastorale, come la Sua, più “vicina” al popolo ed ai sacerdoti stessi.

  2. Daniele Martino

    Eccellenza, mi permetterei di dissentire dalla Vostra posizione per alcune ragioni.
    La prima, mi fa vedere in questo momento la Chiesa, popolo di Dio, ovvero la parte istituzionale che la governa, che perseguendo questa “unione di Diocesi” stia intraprendendo la strada di una “globalizzazione” più volte invece criticata proprio dal Santo Padre Papa Francesco. Sì proprio una globalizzazione, come nell’attuale economia di mercato in cui le aziende piccole hanno bisogno di unirsi, di fondersi per competere a livello mondiale. Diversamente, si resta a terra, muore chi non ce la fa ad andare avanti da solo, il più piccolo, il più debole…ugualmente portatore di una ricchezza, di qualità…
    Così anche la Chiesa per una pastorale ed un servizio apparentemente migliori sembra intraprendere la stessa strada. Come se la fede, dono del Signore e frutto anche dell’azione pastorale dei vescovi, successori degli Apostoli, e dei preti e dei tanti laici impegnati, dicevo come se la fede e la carità dipendessero da una massa più elevata di credenti; come se fosse vero che più è popolosa una Chiesa locale tanta più efficienza risulterà… In effetti, queste decisioni sulla Diocesi piccole, sembrano tanto somigliare alle politiche dei tagli che le istituzioni civili centrali eseguono nei confronti delle piccole periferie, ne più né meno. Eppure, l’emergenza che stiamo vivendo, la pandemia del virus Covid 19 ci sta facendo capire i tanti limiti della globalizzazione e le numerose mancanze che comporta.
    La Chiesa, la Diocesi ancorata in un determinato territorio, baluardo di valori cristiani, si trovano in questo momento in vantaggio rispetto ai grandi contesti perché la dimensione della fraternità, la pastorale “a tu per tu”, la familiarità aiutano più facilmente a vivere la solidarietà vincendo l’anonimato che invece maschera i bisogni delle persone in realtà più grandi e dispersive. Tornando ad una similitudine con un aspetto che governa la società civile, non mi sembra che il taglio della rete ospedaliera delle piccole zone a vantaggio dei grandi nosocomi abbia portato parimenti benefici a cittadini e territori.
    Mi piace pensare che la Chiesa sia nata proprio da piccoli gruppi, nuclei e che poi sia cresciuta per attrazione e non per proselitismo, come direbbe Papa Benedetto XVI, e quindi evviva le piccole chiese, quelle reali fatte di vita concreta così come erano quelle fondate dagli Apostoli in giro per il mondo e che ci sono state raccontante fino a poche settimane fa negli Atti degli Apostoli.
    Mi verrebbe da fare una domanda. Un Vescovo che volesse fare una personale (cioè non delegarla ad altri preti) visita pastorale per incontrare tutte le comunità affidate alla sua cura quando la farebbe? Che fine fanno le identità e le tradizioni di questi luoghi coltivate dagli stessi Pastori, per mezzo dei quali, nei secoli si è trasmessa la fede?
    Insomma, ora è ancora più vero l’adagio di qualche anno fa, piccolo è bello.
    Con affetto e riconoscenza per tutto quanto fatto qui da noi in Alife-Caiazzo, per quanto costruito insieme…
    Daniele Martino

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