Il tempo dei preti

Mio nonno paterno, grande lavoratore, pensava ai preti quasi come a degli sfaccendati… Si è ricreduto quando sono diventato sacerdote.
Il mio parroco don Teofilo soleva dire che quello del prete è un mestiere strano: può ammazzarsi di fatica e “se ne po’ verè bene”. In effetti è così.
Il prete è uno che il lavoro se lo deve in gran parte inventare. Lo fa se è appassionato del Vangelo, se sta tra la gente e vuole bene alla gente, se è convinto che gli è stata affidata la grande opportunità di aiutare gli altri a non sciupare la propria vita, ma a viverla da uomini seguendo il “vero uomo” Gesù di Nazareth. Altrimenti si riduce a celebrare la Messa, a officiare qualche rito funebre o non, e ad essere un notabilotto provinciale, che nei momenti ufficiali gode di mettersi accanto al Sindaco, al Maresciallo e alle autorità locali, impartendo – all’uopo – qualche benedizione, col pericolo di spegnersi e di rinnegare la potenza del Vangelo che gli è stato affidato come preziosa opportunità di vita da donare agli altri.

I preti sono persone che la propria vita al Signore la danno tutta o non la danno.
È triste, perciò, vederne alcuni in cerca di surrogati o di “vie di fuga” (incarichi “laici” o ecclesiastici ben rimunerati, gestione burocratica della parrocchia…). Ci pensai quando nel 1974, con l’introduzione dei “Decreti delegati”, mi si aprì la possibilità di diventare insegnante di ruolo di materie letterarie nella Scuola pubblica. Tanti confratelli fecero questa opzione, ma io mi dissi: “Se volevi fare il professore, non era necessario che diventassi prete. Tu sei chiamato a donare tutta la vita alla causa del Vangelo. Senza sconti e vie di fuga. Se insegni, quello diventerà il tuo compito principale, mentre tu sei stato scelto per mettere al primo posto la missione sacerdotale, che non può mai essere un secondo lavoro”. E quando i Superiori mi hanno chiamato a svolgere compiti “di ufficio”, mi sono sentito sempre un “curiale a disagio”, felice di cogliere tutte le occasioni per stare tra la gente. E di questo ringrazio molto il Signore, nonostante le sofferenze che spesso tale scelta mi ha procurato.

In tutta la mia vita ho incontrato confratelli che mi hanno contagiato con la loro passione per il Vangelo. Ricordo quando nella parrocchia di San Luca al Prenestino (Roma), dove ero viceparroco, ospitammo un sacerdote di mezza età, proveniente da un’altra diocesi, che aveva dovuto lasciare la parrocchia – sembra – per contrasti con la gente. Abituato al tran tran di tanti preti funzionari del sacro, guardava stupito all’attività pastorale frenetica  che c’era in parrocchia e continuava a ripetere di fronte ad ogni nostra nuova iniziativa: “Altra carne al fuoco! Altra carne al fuoco!”. Ma noi ci saremmo sentiti morti, se non avessimo continuato ad “arrostire”!

Ho scoperto nella mia vita che i preti che si appassionano la Vangelo non dicono mai: “Sono stanco!” e la gente va tranquillamente da loro come se fossero sempre lì ad attenderla. Quando in una parrocchia, di un prete si dice che “È sempre occupato, ha tanto da fare”, mi viene qualche dubbio sul suo reale impegno, anche perché mio padre e i tanti preti “con l’odore delle pecore” che ho incontrato avevano sempre tempo per me e stavano sempre al chiodo… Purtroppo ho notato che quanti sono (“per definizione”) superoccupati, stanchi, bisognosi di “andare (frequentemente) in disparte e riposarsi un po’” (mentre tantissimi papà e mamme di famiglia fanno quotidianamente sacrifici inverosimili per recarsi al posto di lavoro e “portare il pane a casa”) hanno spesso tempo per frequentare pizzerie, per dedicarsi ai propri hobbies, fare viaggi (turistici) “spirituali”, raggiungere  followers in ogni dove, partecipare a incontri e Convegni vari e organizzarsi lunghi periodi di riposo, impensabili per un genitore normale.

La cosa deve rendere noi preti molto attenti e scrupolosi, oltre che per fedeltà alla missione che il Signore ci ha affidato, anche perché il nostro sostentamento – ieri come oggi –  è frutto della generosità e dei sacrifici della gente e ci è donato solo per servire il Popolo di Dio a tempo pieno.

Ho conosciuto un vescovo, Mons. Costantino Caminada, che aveva fatto voto di non perdere mai tempo e portava sempre con sé la macchina da scrivere (un’Olivetti 22), anche quando viaggiava in treno. Era un santo. Ma penso che quanti come me sono chiamati a mettere tutta la vita a servizio del Vangelo, dovrebbero essere più consapevoli del valore del proprio tempo, cui è legata la qualità e la bellezza della esistenza presente e futura di tanti uomini e donne.

+ don Valentino

Commenti

  1. Giuseppina Pinci

    Grazie di questa bella riflessione! La vita e 1 e siamo chiamati a spenderci ora per la realizzazione del Regno. Il Signore ti benedica Ecc.za, continua a stupirci!!! Sempre uniti nella preghiera.

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