La fabbrica dei Santi

Nei giorni scorsi si è parlato molto della Beatificazione di Carlo Acutis, un quindicenne (1991-2006) di famiglia alto borghese, vissuto a Milano e morto a Monza, cha  la Chiesa presenta come modello di sequela di Gesù agli uomini del nostro tempo e soprattutto ai giovani. Infatti il Beato ha messo insieme una grande fede incentrata sull’Eucaristia e sulla carità verso i poveri con spiccate capacità e passione nel campo dell’informatica, da lui utilizzate anche per evangelizzare e catechizzare.

Tuttavia, nella presentazione del nuovo Beato da parte dei media, ho notato – con un certo fastidio – il prevalere di un atteggiamento da marketing, che lo “lanciava” al fine di suscitare ammiratori e followers, quasi che ammirare qualcuno porti automaticamente a condividerne la storia e le scelte. Sappiamo che non è così, anzi tali presentazioni di Santi e Beati spesso inducono alcuni più che a considerarli modelli di fede, a chiedere il loro intervento per ottenere “favori” terreni, indipendentemente da prospettive evangeliche e spesso solo per potenziare scelte individualistiche e interessate.

Questo porta al rischio che, pubblicizzato e celebrato l’evento della beatificazione, tutto ritorni come prima, a meno che non ci siano altre tappe canoniche (canonizzazione, proclamazione del suo patronato su qualche attività umana) o nuovi eventi particolari (guarigioni miracolose, fatti straordinari…) che ne rinverdiscano la memoria e moltiplichino i devoti.

L’Autorità della Chiesa non “fabbrica” i santi, ma proclama tali quelli che hanno seguito fedelmente ed eroicamente il Vangelo. Questa considerazione indurrebbe a ritenere meno importanti le canonizzazioni/beatiìficazioni, perché il principale servizio della Chiesa alla promozione della Santità (anche quella “della porta accanto”, che non verrà mai proclamata) è la formazione alla sequela di Gesù, che sprigiona il livello più alto di  umanità e fermenta il mondo di bene.

Pertanto, di fronte alla beatificazione di Carlo Acutis quello che mi interessa di più è capire cosa o chi ha portato questo giovane ricco e brillante a innamorarsi di Gesù, a capire che Gesù era importante e significativo per la sua vita, dal momento che i discepoli autentici del Signore non li crea soltanto la conoscenza dei contenuti della fede, ma soprattutto il “contagio” da parte di chi segue con gioia il Vangelo. Pertanto, di fronte alla bella testimonianza di questo giovane beato milanese, il mio pensiero va a quanti – persone semplici che frequentavano la sua famiglia, sacerdoti, religiosi, insegnanti, catechisti – con la loro piccola fede e il loro entusiasmo feriale hanno fatto capire a Carlo che seguire Gesù è bello, che il Vangelo dà gioia e rende uomini autentici, suscitando il desiderio di diventare suo discepolo.

Da direttore del Centro Pastorale per l’Evangelizzazione del Vicariato di Roma (ma anche in seguito), ho spesso incontrato persone entusiaste del catechismo di San Pio X e critiche verso i Nuovi catechismi della CEI, perché nutrivano una fiducia magica nel “sapere la dottrina” come via sicura alla fede. Se questa convinzione fosse stata fondata, avremmo dovuto avere percentuali bulgare di credenti “tetragoni” tra quanti hanno “studiato” il catechismo di San Pio X o hanno frequentato corsi di teologia. Sappiamo purtroppo che non è così. Ricordo, a tal proposito che un antico Vescovo Ausiliare di Roma, visitando una scuola rimase scandalizzato dal fatto che un bambino alla domanda: “Chi è Gesù?” avesse risposto “È un amico!”. Avrebbe preferito che rispondesse con la formula del Catechismo di S. Pio X: “È il Figlio di Dio fatto uomo, venuto sulla terra per salvarci”, non cogliendo che nella risposta di quel bambino c’era una cosa molto più importante: la consapevolezza che per lui Gesù era una persona significativa!

Penso che l’odierna crisi di fede non sia soltanto crisi di dottrina (forse è anche questo), ma dipenda dal fatto che il Vangelo non dice più nulla alla vita di tanta gente e che la nostra pastorale ordinaria – benché gli odierni operatori pastorali normalmente siano più “addottrinati” di quelli di un tempo – non sempre riesce a trasmettere questa significatività e ad accendere la luce della fede nel cuore dei ragazzi.

La beatificazione di Carlo Acutis, quindi, più che un momento di esaltazione, per le comunità cristiane dovrebbe essere l’occasione per imparare dalle persone che hanno accompagnato il suo cammino di fede  (che non pare appartengano alla sua famiglia) a rendere Gesù significativo per i ragazzi e le ragazze di oggi e rendere le Comunità cristiane non luoghi di esaltazione dei “santi morti”, ma scuola di santità per i vivi.

+ don Valentino

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