Dove vogliamo arrivare?

“Dove vogliamo arrivare?” mi chiedeva talora ossessivamente un mio acuto collaboratore del Vicariato ogni volta che proponevo qualche iniziativa pastorale.
Sì, dove vogliamo arrivare? È la domanda che raramente si pongono i miei Confratelli, le cui agende talora sono zeppe di iniziative, spesso inefficaci o limitate al solito uditorio perché vengano avviate senza attenzione alla realtà circostante e allo scopo che si vuole raggiungere o peggio ancora senza individuarne uno. Oserei dire che la logica degli obiettivi è raramente presente nella vita delle nostre comunità, che nonostante tante energie spese, rimangono incapaci di formare i cristiani e di incidere nella vita delle persone che incontrano.

La cosa mi dispiace molto perché tale prassi è fonte di frustrazione per tanti buoni Sacerdoti che talora continuano a moltiplicare celebrazioni liturgiche o devozionali, spesso frequentate solo da persone “confermate in grazia”, che non allargano minimamente l’utenza a tanti che pure avrebbero bisogno di ascoltare la Parola, di pregare e di crescere nella fede per vivere una vita più illuminata e più degna.
Nei miei anni di episcopato, mi sono posto spesso la domanda, concludendo che compito del vescovo non è quello di girare come una trottola per celebrare Messe e Sacramenti, di moltiplicare riunioni estemporanee o di prendere continue e generiche iniziative, ma quello di indicare e condividere (soprattutto con i Sacerdoti, anche se recalcitranti e individualisti) obiettivi pastorali e far convergere tutte le attività ecclesiali, anche le sue, verso quelli.

Partecipando ad un incontro di Vescovi della Campania, rimasi colpito dal fatto che tutti affermavano di avere nelle loro Chiese un Ufficio di Pastorale familiare, che nella mia diocesi non era presente. Mi domandai cosa facessero e cose avrei dovuto fare per attivare questo servizio  pastorale. Mi accorsi però che in molte diocesi esso si riduceva alla presenza di incaricati che di tanto in tanto promuovevano i soliti incontri su temi come l’aborto, la genitorialità responsabile o la preparazione al matrimonio dei fidanzati (tra conferenze teologiche, morali e giuridiche), ma che gli utenti di tali iniziative erano spesso coppie “elette” (e non famiglie “normali”). Ebbi l’impressione che si muovevano senza obiettivi con l’unica soddisfazione di aver fatto qualcosa.

Facendo tesoro della mia esperienza nel Vicariato di Roma (sono stato per 11 anni responsabile del Centro Pastorale per l’Evangelizzazione), dove la Costituzione Apostolica Vicariae potestatis indicava come metodo pastorale ordinario lo studio de “le esigenze religiose della Diocesi di Roma”, la proposta di “iniziative pastorali in ordine all’espletamento dell’ufficio episcopale di magistero, santificazione e governo” e, dopo l’approvazione del Vescovo, “un’accurata realizzazione” (Cfr. n.5), capii che la cosa principale era interrogarsi sulla situazione delle famiglie del territorio e studiare risposte utili per promuoverne la qualità e la dimensione di fede. Nacquero così il Centro Pastorale per la Famiglia “Mons. Angelo Campagna”, il percorso “Dalla religione alla fede” per i genitori dei bambini che chiedevano i Sacramenti per i loro figli e tutta una pastorale mirata a raggiungere obiettivi concreti di evangelizzazione e di promozione umana, rivolte alle famiglie reali della nostra diocesi (e non a coppie “belle e devote”) e una nuova impostazione dei Corsi in preparazione al Matrimonio, legati non solo alla trasmissione della Dottrina Cattolica, ma alla formazione della mentalità di fede, alla preghiera e alla educazione ad un modello di matrimonio che, superando, la visione individualistica ed utilitaristica corrente, mirasse ad educare al “NOI” della famiglia cristiana.

Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa italiana di porsi in cammino sinodale per “vivere la comunione, realizzare la partecipazione, aprirsi alla missione” (Documento preparatorio del Sinodo, 1).  Sento che in molte diocesi italiane il Sinodo non decolla. Taluni accusano le indicazioni del Papa e lo stesso Documento preparatorio di genericità e di astrattezza. Penso invece che questa situazione di stallo dipenda dal fatto che molte diocesi, pur avviando formalmente il Sinodo, non hanno individuato obiettivi e mezzi di attuazione, relativi alla propria realtà. Le finalità proposte dal Papa infatti richiedono alle diocesi di definire obiettivi precisi e di indicare luoghi e tempi di riflessione. Ciò comporta un’analisi seria di come in una diocesi vengono gestiti i momenti e gli organismi di partecipazione parrocchiali e diocesani: gli incontri del Clero, il Consiglio presbiterale, i consigli pastorali, quelli degli Affari economici, la partecipazione dei laici alla vita delle parrocchie (in talune delle quali molto spesso vige una dittatura clericale con l’esclusione completa dei laici ridotti al mero ruolo di esecutori…), la presenza del prete tra la gente… Pertanto, l’invito ad interrogarsi sulla comunione/partecipazione/missione non significa solo esortazione a realizzare un vago “volemose bene” o un entusiasmo fatuo, ma individuare obiettivi concreti da raggiungere in loco e strumenti idonei (tra cui un calendario preciso degli incontri) per realizzarli.

Senza una tale opera di  mediazione delle diocesi, il Sinodo fallisce le sue finalità (e non per colpa del Papa) e diventa un “pour parler”, che non fa crescere la Chiesa, relegandola ancora di più in una pastorale della conservazione che continua a perdere pezzi, fallendo l’obiettivo di una Chiesa missionaria  cioè “fermento e anima del mondo”, che il Magistero continua a indicare come meta, purtroppo senza successo perché manca in molti pastori il coraggio di “osare nella pastorale”, di individuare metodi adeguati, ma talora anche la passione per il Regno e la speranza.

+ don Valentino

 

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