Cristo nostra speranza

È risorto Cristo, mia speranza! Cantiamo così nel giorno santo di Pasqua (e nell’Ottava) durante la Sequenza, un canto liturgico che esprime la gioia della Chiesa e la inonda di un senso nuovo di libertà e di umanità, dopo il tempo di Quaresima e i giorni della Passione, in cui ci viene rivelata l’enorme possibilità che ogni uomo ha di schiacciare e distruggere la bellezza della vita.

Ma in che senso proclamiamo che Gesù Cristo è la nostra unica speranza, o con Sant’Alfonso Maria de’ Liguori cantiamo rivolti alla Madre del Signore “O bella mia speranza”?
Cos’è per noi cristiani la speranza?

Si ha spesso l’impressione che questa virtù sia intesa da molti credenti come un vago auspicio, una specie del “Domani è un altro giorno!” del famoso film Via col vento, come un anelito destinato a rimanere inconsistente e approssimativo, dato che nessuno lo può verificare, o, come nel famoso vaso di Pandora, “un sogno ad occhi aperti” dopo la “fuoruscita” dei mali del vivere, che alla fine si rivela anch’essa un male, perché illusoria.
Allora? Parlare di speranza è proclamare una serie di slogans rassicuranti senza fondamento? Offrire una consolazione basata sul nulla? Professare un ottimismo infondato o dare una specie di “pacca sulla spalla” a chi è sfiduciato? Abbandonarsi alla possibilità di un auspicato ma non sicuro aiuto divino?

Non per il cristiano.

Per lui, infatti, la speranza si fonda sulla Promessa di Dio, che è pegno  sicuro di futuro, perché Dio tiene sempre fede a quello che garantisce (come nel caso di Abramo, Mosé, i profeti, Gesù…). Anzi, come dice Papa Francesco: “La fedeltà di Dio è come il fiore del mandorlo in primavera: fiorisce per primo”. Ed è proprio questo riferimento che le dà consistenza. Soprattutto in Gesù risorto, il Padre realizza tutte le promesse e ci offre la prova più grande della sua fedeltà.

Guardando alla vicenda di Gesù di Nazareth, quindi, il cristiano non si rassegna alla sofferenza, al male e alla morte, non si arrende, non si ferma e, forte della speranza nel futuro che Dio promette e che la fede gli fa conoscere, li contraddice e si mette in cammino operoso. Il suo porsi nelle mani di Dio non lo porta perciò a fuggire dal mondo, ma ad impegnarsi per costruire il futuro che il Padre vuole realizzare per tutti i suoi figli.

Fede e speranza non possono mai essere disgiunte. Senza la conoscenza di Cristo che si ha per la fede, la speranza diverrebbe un’utopia. Ma senza la speranza, la fede diventerebbe vuota e morta, cosa da farisei egoisti e senza slancio. Infatti, per mezzo della fede l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo incammina e ve lo mantiene. La speranza scorge nella risurrezione di Cristo non l’eternità del cielo, ma il futuro di quella stessa terra in cui si innalza la sua Croce e di quella umanità per la quale Egli ha donato la sua vita.

Colui che ha questa speranza non potrà mai adattarsi alle leggi e alle fatalità di questa terra, né al carattere ineluttabile della morte, né al fatto che il male generi altro male. La resurrezione per lui non è soltanto annuncio consolatorio, ma è l’atto con cui il Padre contraddice la sofferenza e la morte, l’umiliazione, l’insulto e la malvagità del male e impegna l’uomo a non arrendersi alla negatività del presente, ma a costruire il futuro bello che lui promette. E’ la speranza che rende il cristiano “il fermento e quasi l’anima del mondo”.

Quindi la fede quando si esplica nella speranza non rende l’uomo tranquillo, ma inquieto, non paziente, ma impaziente. Il credente animato dalla speranza, come Maria, “ha fretta”(Cfr. Lc 1,39). Chi spera in Cristo non si adatta alla realtà così com’è, ma comincia a soffrine e a contraddirla. Non aspira ad entrare a far parte delle strutture di potere mondano, che rendono schiavo l’uomo, non vaneggia carriere, non si vanta di essere amico dei vip. La speranza fa della Chiesa un elemento di perenne disturbo nelle comunità umane che vogliono diventare “città stabile”, appiattite nel possesso della terra e nelle logiche di dominio. E’ questa la grande lezione di Papa Francesco.

Al di là degli slogan, le nostre comunità cristiane (e i credenti) che pure proclamano Cristo nostra unica speranza, vivono in questa prospettiva?
Talvolta viene da dubitare, vedendole accartocciate su piccole problematiche interne e prese da malesseri che mirano più al recupero di spazi e alla difesa di privilegi, che alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno. Una fede che prescinde dalla speranza le porta a gestire il presente, a collocarvisi in posizione dominante,  e non ad essere motori per il futuro diverso che la fede unita alla speranza individuano in quel Regno di Dio, annunciato e realizzato nella persona di Gesù. Una comunità cristiana che spera mette al centro della sua attenzione non i propri problemi, ma quelli del mondo da salvare, dei poveri, degli ultimi delle ingiustizie presenti nelle nostre comunità civili e lotta per creare il mondo che Dio sogna. In questo contesto la carità non è “fare un’opera buona”, ma lavorare per fare uguaglianza, giustizia,  per creare dignità e per offrire a tutti le stesse opportunità di vita. Cristiani senza speranza rischiano di diventare credenti senza passione, archivisti e gestori di verità astratte, attenti alla difesa di sicurezze e di privilegi inutili, mentre il mondo attende da quanti credono un dinamismo ed un coraggio nuovo per costruire il futuro, che annuncia la Resurrezione.

Perciò la speranza non va soltanto proclamata dai cristiani, ma soprattutto vissuta. Come in Maria, che è la nostra “bella speranza” perché ha creduto nell’adempimento delle promesse del Signore  (cfr Lc 1,45) e ci insegna a vivere una fede non preoccupata di garantire interessi e di conservare tradizioni/camomille, ignorando ingiustizie e violenze, ma a guardare alla Pasqua del Signore per contraddire il male e costruire il mondo nuovo che Dio promette nel Figlio risorto.

+ don Valentino

(foto Noli me tangere, Giotto, affresco, 1303-1035, Cappella degli Scrovegni, Padova)

 

Commenti

  1. Giuseppe

    Grazie Mons Di Cerbo per la sua puntuale riflessione .
    Viviamo in un momento storico in cui la speranza sembra essere stata dimenticata.
    Agiamo accecati da un becero individualismo che non ci permette di riscoprire l’essenza della vita attraverso il confronto con l’altro.
    È proprio , però , negli attimi di vita più intensi che deve nascere quella speranza che è il motore della vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *