Perché i nostri giovani disertano le parrocchie?

La lamentela di sacerdoti e laici impegnati circa l’assenza dei giovani dalle Parrocchie ha costituito il leit motiv della Visita pastorale nella diocesi di Alife-Caiazzo (2013-2016). Anche se identiche considerazioni provenivano dalle Associazioni laiche, tale problema ha costituito per me occasione di sofferenza e di preghiera e mi ha portato a chiedermi spesso: “Perché molti giovani abbandonano le nostre parrocchie?”. Sono arrivato a queste personali conclusioni (che spero qualcuno contesti, proponendo soluzioni migliori):

1. nelle Parrocchie non c’è spazio per i giovani: dalle nostre strutture pastorali vengono proposte (prevalentemente rituali) adatte ad anziani e persone cresciute in una fede tradizionale, che si aspettano dalla chiesa servizi poco interessanti per i giovani. La Missione cittadina di Alife del 2018 (ma penso anche ad altre simili iniziative in cui i giovani sono stati cercati, accolti, amati…), invece, ha dimostrato quale grande potenziale essi possono essere per le nostre Comunità.

2. Le nostre parrocchie non sono comunità vive e accoglienti “dove sia bello trovarsi, dove si possa dire: “Qui si respira un clima di comunità, dove si incontrano persone che credono in Dio per nutrire la propria vita e per riuscire a credere alla vita nella buona e nella cattiva sorte”.  Comunità “aperte, umili, cariche di speranza; …. che contagiano con la propria passione e fiducia…” (Derio Olivero, vescovo di Pinerolo). Spesso invece sono percepite dai giovani come ambienti chiusi, che riproducono limiti e difetti della società in cui vivono, con l’aggiunta di un fastidioso moralismo ed autoritarismo.

3. Normalmente gli ambiti ecclesiali non offrono spazi ai giovani per incontrarsi, ritrovarsi e crescere nelle fede. Talora i parroci concedono gli ambienti della parrocchia (anche per attività poco attinenti alla fede), ma in essi manca quasi sempre il sacerdote o un adulto credente, che stia con loro e offra allo stare insieme il tocco diverso di un ambiente cristiano. Taluni parroci commettono l’errore di delegare in toto la cura dei loro coetanei a giovani poco formati: talvolta presuntuosi e con una fede approssimativa, che fanno di questo incarico l’occasione per piccoli personali giochi di potere, senza Vangelo; altre volte volenterosi di crescere nel servizio educativo, ma senza strumenti e maturità necessari.

4. I giovani hanno bisogno di amici e di testimoni, non di “incaricati dal Vescovo”, di “animatori da spiaggia”, di professori o di manager, come dimostra l’esperienza di quasi tutte le strutture oratoriane funzionanti. Da noi gli oratori sono rari, il prete di oratorio non c’è mai stato e il parroco, nonostante la buona volontà di qualcuno, è percepito come una figura abbastanza ‘lontana’. Anche perché (come ho avuto modo di constatare nella Visita pastorale), spesso le nostre parrocchie sono realtà in cui il parroco “fa tutto e decide tutto da solo”, senza il coinvolgimento dei laici (Consiglio pastorale, consiglio affari economici) quasi sempre “usati” alla stregua di esecutori materiali e quasi mai trattati con la dignità di collaboratori. Un migliore “gioco di squadra” (espressione sportiva che nasconde la fondamentale esperienza cristiana della comunione e della corresponsabilità di tutto il Popolo di Dio nei confronti dell’annuncio del Regno) forse darebbe più spazio a laici e giovani credenti nella progettazione e nella realizzazione della cura pastorale di preadolescenti, adolescenti e adulti, lasciando al sacerdote il ruolo proprio di “padre spirituale”.

5. In genere i sacerdoti non sanno parlare ai giovani della Fede (né si preoccupano di studiare i nuovi linguaggi per stabile punti di incontro). Normalmente si cerca di edulcorare il messaggio cristiano: spesso ci si avventura in percorsi psicologici, sociologici…. e si ha timore di parlare di Gesù (che, si pensa, ai giovani non interessi). Ho presente un messaggio inviato da un parroco in occasione degli Esami di Maturità: ho pensato che quelle parole le avrebbe potute dire anche un sindaco o un dirigente scolastico. Né la benedizione finale ha migliorato la cosa: in quel contesto è apparso più un talismano che un invito a confidare nell’amore e nella vicinanza di Dio. Ascoltandolo, mi venivano in mente le parole di un Vescovo, secondo il quale, certi nostri interventi dimostrano che “Gesù Cristo c’è o non c’è, è la stessa cosa”. Invece, come testimonia l’impegno di qualche giovane prete, quando si fa conoscere ai giovani la Parola di Dio, se ne condivide l’ascolto e si punta su momenti forti di preghiera e di servizio, normalmente l’interesse dei giovani verso la fede cresce.

6. In genere si tende a presentare Il sacerdote come “istituzione” (meno che come un uomo di fede che ha scelto di seguire Gesù per donarsi ai fratelli), cosa che fa diminuire l’interesse dei giovani per quello che è o che fa. Ricordo l’imbarazzo da me provato di fronte a certi inviti ufficiali nelle scuole: avevo spesso timore di apparire come il VIP che fa la difesa d’ufficio di una causa o il docente di saperi non richiesti. Era più bello quando incontravo i ragazzi in parrocchia o quando, dopo il momento scolastico ufficiale, quelli che mi conoscevano venivano a salutarmi, riconoscendo in me una persona sulla quale poter contare e con cui confrontarsi.

7. Tra sacerdoti si tende spesso a pensare la scuola come il luogo favorevole della pastorale giovanile, accusando gli Insegnanti di religione della disaffezione dei giovani verso la parrocchia. È questo l’equivoco che ha portato molti preti, lasciato l’insegnamento nella scuola, a interessarsi solo marginalmente dei giovani. Occorre affermare con chiarezza che il luogo naturale della cura della Comunità cristiana per le giovani generazioni è la parrocchia e non la scuola: questa infatti (anche nell’insegnamento della Religione) persegue fini di istruzione, mentre è la Comunità cristiana che ha la missione di educare alla fede. Al riguardo sanno di ridicolo i “blitz” nelle Scuole Superiori di qualche sacerdote “à la page”, con l’illusione che una conferenza agli studenti possa essere un momento quasi risolutivo di evangelizzazione. Da ex insegnante di religione, ricordo l’interesse che suscitavano negli alunni certe riflessioni sulla Comunità cristiana… Talora portavano alcuni ragazzi ad andare in parrocchia, ma molto spesso tornavano delusi perché il contesto concreto era la smentita puntuale di quanto (Documenti conciliari alla mano) avevamo illustrato in classe.

8. Spesso si pensa che idoneo a seguire i giovani, sia il prete dotato di particolare “fascino” e di carismi personali. Ci sono tante persone che vanno a Messa perché la celebra “quel prete lì” o frequentano un corso di catechesi “perché lì c’è il “don” super”. Questa è una scelta pericolosissima, che alla lunga finisce per svuotare le parrocchie di giovani: si corre il pericolo di far identificare la Chiesa con una persona, di far abbandonare la vita religiosa e di far vivere di rimpianti quando quel prete mancherà. Invece l’importante è creare senso di appartenenza ad una comunità (che non è solo il prete): quando il rapporto di fede è legato solo al leader, si crea un gruppo di fans e non una comunità di discepoli del Signore. Questa esperienza l’ho fatta nella Visita pastorale: ho trovato parrocchie che erano tali a prescindere dalla persona del Parroco (anche lo apprezzavano e gli obbedivano) e altre dove risuonava soltanto il “peana” del parroco in carica. Nelle prime ho trovato un gruppo giovanile, nelle seconde solo qualche “tifoso”.

Ritengo che il problema della presenza (o assenza) dei giovani sia da mettere tra le principali preoccupazioni delle nostre parrocchie. Diversamente “bolliniamo” di Sacramenti (inutili) i ragazzi, ma non costruiamo comunità cristiane, educanti e capaci di vivere e testimoniare una vita diversa che profuma di Vangelo.

Il catecumenato crismale avviato nella Diocesi di Alife-Caiazzo, voleva essere non un espediente qualsiasi, ma un metodo con l’obiettivo di far scoprire ai giovani il valore della comunità cristiana e di far vivere il Sacramento della Cresima come occasione di amicizia e di vita di relazione, di scelta del modello di umanità proposto da Gesù e di scoperta della propria missione all’interno della Chiesa.

+ don Valentino

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